La speranza riposa in un abbraccio
La Settimana Santa è il centro dell’anno liturgico e insieme del mistero cristiano. Sono i giorni del silenzio meditativo e della contemplazione interiore. Le celebrazioni rinnovano un ricordo che non è semplicemente una rievocazione. Quanto avvenuto nei giorni cruciali della passione e risurrezione del Signore viene misteriosamente rivissuto. I limiti del tempo vengono scavalcati e tutto ridiviene attuale.
La successione degli eventi la conosciamo. Gesù entra in Gerusalemme tra le acclamazioni di una folla esultante: mite re di pace, egli cavalca un asino. La domenica delle Palme ricorda questo momento, l’unico nel quale in modo chiaro – per chi sa capire – egli si presenta come il Messia atteso. Lo accompagna l’odio dei suoi avversari, pieni di gelosia per il forte consenso del popolo e preoccupati di preservare un sistema di potere costruito su presunte basi religiose. Si sta avvicinando la grande Festa della Pasqua ebraica, memoriale della liberazione del popolo eletto dalla schiavitù dell’Egitto. Gesù entra nel tempio di Gerusalemme, edificio magnifico e grandioso, voluto dal Signore Dio dell’alleanza come casa di preghiera e tristemente trasformata in un luogo di mercato. L’indignazione di Gesù è grande e il gesto che compie – quello di cacciare i venditori dai sacri cortili – inasprisce ulteriormente gli animi dei suoi nemici.
La decisione è presa. Si deve cercare il modo di catturarlo di nascosto e di toglierlo di mezzo. Non si sa tuttavia come fare. Ecco però presentarsi una circostanza assolutamente impensata. Giuda Iscariota, uno dei dodici discepoli più vicini a Gesù, si dice disposto a consegnarlo in segreto: chiede del denaro. Così prende avvio per il Messia di Dio il cammino della passione. Dall’ultima cena di Gesù con i suoi – sullo sfondo della Pasqua ebraica – si passa alla drammatica preghiera nel Getzemani, all’arresto di notte, al processo davanti al Sinedrio e a quello successivo davanti al governatore romano, Ponzio Pilato. Nessuna accusa contro Gesù trova giustificazione, ma ciò nonostante egli viene condannato. Schernito e flagellato, coronato di spine e caricato della croce, viene condotto al Calvario e lì crocifisso. Subisce la forma più infame della morte, quella che suscitava orrore ai romani. “Estremo e totale supplizio degli schiavi” – la definiva Cicerone. “Scandalo per i Giudei e follia per i Greci” – scriverà san Paolo ai cristiani di Corinto. Lo stesso Gesù aveva messo in guardia i suoi discepoli, mentre dal luogo della cena si incamminavano verso l’orto degli ulivi: “Voi tutti resterete scandalizzati per causa mia”.
Uno sguardo puramente esterno non può che fermarsi davanti all’orrore, al fallimento, all’umiliazione di questa morte. La croce all’apparenza frantuma ogni speranza. Occorre uno sguardo diverso, che si lasci interrogare, che provi anche solo a immaginare che in tutto questo vi sia qualcosa di misterioso. Occorre riandare con la mente attenta a ciò che accadde durante l’ultima cena, quando Gesù spezzò il pane per i suoi discepoli e offrì loro il vino, invitandoli a compiere quel gesto in sua memoria. Durante quella stessa cena, egli si chinò a lavare i loro piedi, anticipando l’evento della sua morte su una croce ed offrendone la reale chiave di lettura. Scrive infatti l’evangelista Giovanni. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Questa è la direzione in cui muoversi. Per sua natura l’amore è fecondo. Come non potrà esserlo l’atto d’amore del Figlio di Dio inviato come redentore dell’umanità? Certamente lo sarà. Gesù stesso lo aveva promesso: “Quando sarò innalzato da terra io attirerò tutti a me”. È il segreto della sua risurrezione. In questo abbraccio potente e consolante riposa la speranza del mondo.