La solitudine di Francesco
Finché prega, non disturba. Gli attori internazionali di fronte alla guerra in Ucraina hanno chiesto al Papa di mettere in campo tutto il peso della diplomazia vaticana. Francesco si è speso in prima persona, ha preso le distanze anche dal Patriarca Kirill (“Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza”), ma ha commesso un errore. Si è permesso, infatti, di accusare i grandi della terra: “Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il 2% del Prodotto interno lordo nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali”.
Le sue frasi inizialmente non hanno trovato, tranne in alcuni casi come “Avvenire”, una eco sui giornali. Meglio non parlarne per non risvegliare troppo le coscienze. Poi, sondaggi alla mano, è maturata la consapevolezza che i cittadini non sono poi così convinti di vivere in una nazione che investe nella difesa e non nello stato sociale. I talk show hanno ripreso le parole di Francesco, ma hanno etichettato chi propone una terza via: si passa dall’essere presunti alleati del dittatore Putin a inguaribili pacifisti lontani dalla realtà. E i partiti? Se Cinque Stelle e Lega, avendo in passato solidarizzato con il leader russo, non sono così credibili, ci si poteva attendere qualcosa di più dal Partito Democratico e da Forza Italia che si sono accodati alle richieste della Nato senza porsi troppe domande sull’invio di armi. Tutto così normale? Non c’è, oggi, una personalità politica italiana autorevole in campo internazionale. Draghi lo è ma dal punto di vista economico. Facciamo un passo indietro. Il riferimento al 2% del Pil da destinare alle spese militari era comparso per la prima volta nel 2006 al vertice Nato di Riga, in Lettonia. Nel settembre 2014, dopo l’annessione illegittima della Crimea da parte della Russia, al summit di Newport, in Galles, i capi di Stato e di governo dei Paesi Nato formalizzarono quanto deciso otto anni prima. L’impegno, sottoscritto dall’allora governo Renzi, è stato portato avanti anche da Conte e nel 2021 da Draghi.
Nel 2014 il nostro Paese spendeva l’1,1% del Pil in questo settore e la percentuale è salita fino a raggiungere l’1,4% nel 2021. Secondo i calcoli dell’Osservatorio Milex per raggiungere il 2% dovremmo aggiungere 13 miliardi di euro al budget annuale per la difesa, che nel 2022 è di circa 25 miliardi di euro. C’è una corsa al riarmo, ma è la risposta sbagliata a una situazione drammatica. La Germania ha annunciato che aumenterà di 100 miliardi le spese militari per raggiungere la soglia del 2%. L’Unione Europea non resta a guardare: destinerà alla ricerca e alla produzione di armamenti otto miliardi di euro (periodo 2021-27) attraverso il Fondo europeo per la difesa. L’Europa dovrebbe favorire politiche di disarmo e non essere subalterna alla Nato, un’alleanza che riproduce lo schema della Guerra Fredda con l’aggravante della minaccia nucleare che, come abbiamo visto, aleggia sul XXI secolo: quando ci renderemo conto dell’importanza dell’adesione dell’Italia al Trattato Onu per la messa la bando delle armi nucleari? Ha ragione Pax Christi quando chiede all’Onu di esercitare la sovranità del diritto internazionale. Non possiamo ripetere gli errori del passato. Bisogna davvero essere miopi per non accorgersi di quanto sta succedendo nel mondo. Il Rapporto 2021-2022 di Amnesty International, pubblicato in Italia da Infinito Edizioni, fotografa, purtroppo, il moltiplicarsi dei conflitti: dall’Afghanistan al Myanmar, dallo Yemen al Burkina Faso, dalla Libia ai Territori Palestinesi, oltre ovviamente alla Siria. Gli Stati si armano per difendersi, un po’ come i cittadini che tengono la pistola sotto il cuscino. Alla fine sono meno sicuri di quello che pensano.