La sfida della violenza
Sarei più tranquillo se le scene di Peschiera non le avessi già viste. Perché, da qualche mese, almeno un paio di volte alla settimana, la scena si ripete. Stesso copione, anche se cambiano i personaggi ma rimane immutato il senso di impotenza e di incapacità di darsi una spiegazione: bande di 15/20 ragazzi e ragazze che si alternano durante il giorno, età media 15 anni, che entrano in oratorio, prendono possesso dello spazio, usano le cose senza rispetto, sfidano ad ogni parola ogni adulto (maschio, perché per tanti di loro le femmine contano poco), qualcuno con il coltello in tasca. Si chiamano con i social, si danno appuntamento, poi si rubano il cellulare, come se fosse la cosa più preziosa, il pertugio da cui guardare il mondo e se stessi, il capo impassibile che dà l’ordine e il via per le violenze. Che sfida è? Per noi adulti, quella di non cadere nella trappola, pensando che la soluzione sia chiudere tutto, lasciandoli al loro imbecille destino, segnato da strade false e terribili. Voglio avere il diritto di tenere aperto: l’oratorio, l’intelligenza, la vita. Qualche giorno fa ero in un posto fatto d’arte, di musica e di storia; un ragazzo discuteva con il padre: “Dai, papà, non è questo il momento di guardare il cellulare!”. Questa è una scena mai vista.