di GIUSEPPE MARI
19 mar 2015 00:00
La sfida dell'inclusione
Consiste nel porre il riconoscimento delle differenze accanto e insieme a quello di ciò che accomuna

Eppure credo che valga la pena analizzare con cura la domanda. Infatti, l’inclusione può avvenire in molti modi, e non sono tutti uguali. Se la attuiamo in maniera indistinta, cioè negando l’originalità di ciò che viene incluso, il risultato è assai discutibile perché – di fatto e al di là delle intenzioni – coincide con la logica di tipo totalitario che si è sempre espressa attraverso l’assorbimento di qualcosa nello Stato, nel partito, nell’ideologia o in altro, comunque – ogni volta – negandone l’identità originale. Ma l’essere umano è unico e irripetibile, la sua inalienabile dignità domanda che sia riconosciuto nella sua singolarità oltre che in ciò che lo accomuna agli altri. Non è casuale che uno dei maggiori pensatori del dopoguerra – Jacques Maritain – abbia sostenuto, essendo stato testimone diretto del totalitarismo, che il suo contrario è il pluralismo ossia una varietà che vive del reciproco confronto tra le diverse componenti (così distinguendosi dal relativismo dove ognuna si pone come autosufficiente).
Perché svolgo questa considerazione? Per il fatto che l’approccio comunemente espresso dal “politicamente corretto” mi sembra configurare una inclusione indistinta – conseguente alla esplicita negazione delle differenze – la cui pericolosità sociale, politica e civile – a mio avviso – non è chiaramente identificata. Penso che valga la pena rivisitare l’approccio maritainiano, da questo autore sintetizzato nell’invito a “distinguere per unire”.
Sotto questo profilo, la sfida dell’inclusione consiste nel porre il riconoscimento delle differenze accanto e insieme a quello di ciò che accomuna, evitando di scivolare verso il conformismo che è una caricatura dell’uguaglianza come viene professata dalla democrazia.

GIUSEPPE MARI
19 mar 2015 00:00
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