La schiavitù delle donne "in affitto"
"Quasi una forma di schizofrenia ci attraversa in questi giorni e sembra essersi impadronita in particolare della comunicazione mediatica e di certa politica: da un lato la difesa della donna e della sua dignità e dall’altro una nuova forma di violenza e sfruttamento delle donne e che alcuni vorrebbero legalizzata". Leggi l'editoriale del numero 9 di "Voce"
Motivo scatenante è la nascita negli Stati Uniti di Tobia, il figlio di Nichi Vendola e del suo compagno Ed, venuto alla luce grazie alla maternità surrogata. Una notizia che non ha fatto che alimentare la polemica, non ancora sopita, sulla stepchild adoption stralciata dal governo nel passaggio parlamentare al Senato sulle unioni civili. Mille i contrari, mille a favore. Tutti in nome dell’amore vero.
Il piccolo Tobia, naturalmente, non ha colpe e Dio avrà certamente sorriso di gioia alla sua nascita, come fa ogni volta che un bimbo viene al mondo, ma la responsabilità morale di chi lo ha voluto ad ogni costo senza chiedersi se questo avrebbe leso la dignità della donna, che non sarà mai sua madre, resta molto grave. Ancora una volta una vicenda particolare si erge a sistema e a legittimazione di qualsiasi desiderio individuale generando a un tempo il paradosso di una società che da una parte reclama passi per promuovere l’emancipazione e la dignità delle donne e dall’altro non riesce, davanti al “corpo delle donne”, ad uscire dalla spirale di un approccio maschilista che la considera sempre e comunque un oggetto di consumo per perseguire i propri fini fosse anche quello di una paternità senza condizioni.
Quasi una forma di schizofrenia ci attraversa in questi giorni e sembra essersi impadronita in particolare della comunicazione mediatica e di certa politica: da un lato la difesa della donna e della sua dignità e dall’altro una nuova forma di violenza e sfruttamento delle donne e che alcuni vorrebbero legalizzata. Assistiamo a un dibattito politico e sociale che da un lato combatte e punisce chi procura violenza fisica o psichica alle donne e dall’altro giustifica l’utero in affitto in nome di un “presunto consenso” mascherandolo come un dono d’amore. Perché allora non ricordare che le madri surrogate vengono reclutate nei Paesi più poveri del mondo e che, anche quando sono di nazioni più ricche, come gli Stati Uniti in cui la pratica è legale, sono comunque persone che appartengono alle classi sociali più basse e hanno maggiori difficoltà economiche? Che libertà di scelta c’è per chi non ha da mangiare, né ha cultura, o una possibilità di futuro se non di “vendere” o meglio “affittare” una parte del proprio corpo per sbarcare il lunario almeno per un po’ di tempo? Come chiamare coloro che alimentano questa tratta di schiave della maternità a ogni costo? Siamo o non siamo davanti a una nuova, vera forma di schiavitù delle donne?
È giusto che la politica si muova. È giusto che lo faccia a livello internazionale perché in tutto il mondo sia vietata e perseguita questa prassi dove ancora una volta chi è ricco e potente può ottenere da chi è più povero e debole quello che vuole.
Mi aspetterei una reazione soprattutto delle donne. Una reazione che dalle piazze condizioni un sistema mediatico che asseconda e continua ad alimentare i desideri dei singoli, degli adulti a svantaggio del bene comune e di quello dei bambini. Dei bambini, già, di tutti anche di quelli che ancora non hanno voce. Anche di Tobia, che sarà probabilmente molto amato, ma che per l’egoismo degli adulti non conoscerà il senso e la dolcezza di avere una mamma.