La preghiera di Gino
“Io non so pregare, ma so sperare: voglio sperare (…) che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace”. Non riesco a smettere di pensare a queste parole che Gino Cecchettin, papà di Giulia, 22 anni uccisa dal suo ex fidanzato, ha pronunciato al termine dei funerali della figlia, con cui ha invitato, a partire da se stesso, tutti gli uomini a “dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto”. In questo tempo di Avvento, mi ritrovo spesso a pensare a quel “Io non so pregare”: lo sento dolorosamente mio, come un limite che mi è familiare, che mi disturba, mi mette in crisi. Un limite che non sembra trovare soddisfazione nemmeno nei tanti inviti alla preghiera (anche comunitaria) che il tempo ci propone.
Continuo a scontrarmi con la difficoltà del “non sapere pregare” che mi riporta a quel “Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Più ascolto le parole di Gino Cecchettin, più mi rendo conto che quel padre, invece, sa bene cos’è la preghiera. Lo fa liberando le sue parole dall’odio e dal risentimento, lo fa svelando la trasformazione che ha prodotto in lui tutto questo: un grande atto di amore della moglie Monica che, in punto di morte, ha trovato la forza di chiedergli “perdono”, perché costretta a interrompere un cammino di gioia e di condivisione. “Quelle parole − ha ricordato Gino − mi hanno aperto a un nuovo modo di guardare alla vita”. Che non va sprecata a inseguire “bassezze” umane, ma per inseguire qualcosa di più alto, di vicino alla preghiera, alla speranza. Come ha scritto qualcuno “è la scelta di sperare, che ha squarciato le tenebre dell’orrore”. Non è questa la migliore delle preghiere, capace di andare oltre tanti vuoti manierismi a cui siamo abituati, per accompagnarci verso il Natale che invita l’uomo ad alzare lo sguardo oltre le tenebre? No, caro Gino, non è vero che non sai pregare. Lo sai fare benissimo. E ce lo dimostri con i fatti!