La paura non ha futuro
Uscire dalla contrapposizione tra chi ha paura e chi non ne ha per aprire un confronto serio
Due parole che nei media ogni giorno si rincorrono ma non si incontrano. “I ribelli della provincia. Dimenticati da tutti. Ora il futuro fa paura”. “A Vibo Valentia dove i boss uccidono anche il futuro. Non vediamo l’ora di andarcene da qui”. “Alle donne le piazze d’Italia. Una su tre subisce violenze smettiamo di avere paura”. “La paura della libertà dopo l’ergastolo interrotto”. Sono i titoli di un quotidiano del 25 novembre. È solo un piccolo esempio perché ogni giorno titoli con le due parole, paura e futuro, si rincorrono, senza mai incontrarsi, con il loro bagaglio di interrogativi. Che da tempo la paura domini la scena sociale e culturale è un dato certo e in crescita. Non basta però attribuire ai soli media la responsabilità di alimentarla e di lasciarla, più o meno consapevolmente, nel gioco dell’ideologia. Occorre uscire dalla contrapposizione tra chi ha paura e chi non ne ha per aprire un confronto serio. Solo con la capacità e la volontà di conoscere e di argomentare è possibile capire i motivi di così tanta paura, di così forte domanda di sicurezza. E poi rispondere alla domanda finale: quale futuro pensare, per quale futuro impegnarsi? Paura e futuro sono due parole strettamente legate ma questo legame non consente di andare oltre il presente. Non c’è che un futuro incollato al presente, un futuro incapace di liberarsi dai lacci della paura? È il 51° Rapporto Censis ad affermare che quella italiana è “una società che ha macinato sviluppo ma che nel suo complesso è impreparata al futuro”. Non c’è un domani, tranne quello imposto dallo scorrere del tempo, per una società bloccata da una paura che non è tanto la reazione al pericolo quanto l’incapacità di reagire alle difficoltà e alla complessità con grandi visioni e scelte lungimiranti. La mancanza di “un immaginario potente” comporta il restare imprigionati nella trappola del procedere a tentoni, alla ventura, magari con slogan anti-panico, senza ascoltare e prevedere il lento silenzioso progredire del corpo sociale che si indigna e si ribella alla dittatura della paura. Non è comunque con il pessimismo che si vince la paura. Il 25 novembre, data del pre-congedo della Gran Bretagna dall’Ue, è Matthew Herbert musicista britannico a ricordarlo: nello stesso giorno ha diretto a Roma la sua Brexit Big Band e ha commentato: “Serve ottimismo, dobbiamo ricordarci che possiamo cambiare le cose”.