La Pasqua che non dimenticheremo
È una Pasqua con le chiese vuote. Chi l’avrebbe mai pensato? Chiese vuote, sì, ma non deserte; senza fedeli, sì, ma non desolate
La Pasqua del 2020 certo non la dimenticheremo.
È una Pasqua con le chiese vuote. Chi l’avrebbe mai pensato? Chiese vuote, sì, ma non deserte; senza fedeli, sì, ma non desolate. Costretti a far nostro un invito che fino a ieri avremmo considerato assurdo, e cioè: “Se mi vuoi bene, stammi a distanza”. Obbligati a rimanere ciascuno nella propria casa per non compromettere la vita degli altri, abbiamo tenuto aperte le nostre chiese, ma non abbiamo potuto frequentarle. E così è anche per le funzioni del Santo Triduo e per la solenne Messa di Pasqua. Tutto vissuto da casa. Mi chiedevo quale conseguenza avrà tutto ciò sul nostro modo di vivere la fede e la nostra appartenenza alla Chiesa.
Si potrebbe pensare questo: che non sarà necessario frequentare le chiese e che si potrà perciò farne a meno. L’esperienza futura ce lo dirà, ma alla luce dei segnali che emergono credo che il sentimento sia un po’ diverso. Questa epidemia mai immaginata ci ha fatto capire meglio molte cose. Tra le altre, l’importanza di sentirci uniti, di sostenerci a vicenda, di affidarci insieme alla bontà di Dio. Chi si è ammalato a causa di questo virus, si è trovato improvvisamente nelle mani di altri, medici e infermieri, che hanno fatto di tutto per salvarlo e curarlo. Ha dovuto improvvisamente separarsi dai suoi cari e in diversi casi non ha potuto più vederli. Questa separazione ha procurato a tutti un grande dolore. È nato in tutti il desiderio di affidare i propri cari alla Provvidenza di Dio. È venuto più spontaneo unirsi nella preghiera, sentirsi soldali nella sofferenza, rinnovare insieme la fiducia
in un’opera di salvezza e in una solida speranza.
Consegnare i nostri cari defunti alla misericordia di Dio e saperli accolti nel suo Paradiso è stato forse l’unico vero conforto, quando ci si è trovati a vivere una situazione di forzato allontanamento e abbandono, che poi è sfociata nella fine della vita. Sapere che, anche senza la propria presenza, non è mancata ai propri cari la vicinanza della Chiesa e la benedizione del sacerdote, ha almeno attenuato il dolore. In tempi più tranquilli ci siamo forse chiesti, con un tono magari un po’ distaccato: che cos’è la Chiesa? Che cosa significa farne parte? Che cosa aggiunge in più e di particolare alla nostra vita? Forse ora riusciamo a rispondere in modo più vero. La Chiesa è la grande famiglia dei credenti che fa sentire nel mondo l’amorevole potenza di Cristo, la sua carica di salvezza. È l’insieme dei volti, dei cuori e delle mani di coloro che nel nome e per la forza di Gesù sono chiamati a tenere viva nel mondo la speranza. Lo fanno creando legami di reciproco sostegno e di operosa solidarietà, ma anche condividendo l’esperienza della preghiera e celebrando i santi misteri. Per questo dunque, alla fine, esistono le Chiese, per dare ad un simile sentimento di reciproca carità e di fiducioso abbandono a Dio la sua più autentica espressione. Nelle Chiese ci riuniamo per sentirci Chiesa, per riconoscerci fratelli oltre il limite del sangue. Lo facciamo davanti al tabernacolo e intorno all’altare, cioè sulla base di una presenza e di un’opera di grazia che ci supera. Non siamo noi a creare il fondamento della nostra unità e ci rendiamo conto che questa è una fortuna. Abbiamo in questa dolorosa circostanza anche capito che non siamo onnipotenti, che abbiamo dei limiti, che siamo fragili. Ora possiamo aggiungere che questo non necessariamente ci deve far paura. Le nostre chiese che torneranno a riempirsi e, soprattutto, la Pasqua del Cristo risorto che celebriamo, ci ricordano che esiste una benedizione a noi destinata e sempre operante. Su di essa poggia la nostra speranza.