La morte di Andrea
La morte di un giovane di 20 anni può comprensibilmente mettere in discussione la fede in Dio. Il dolore causa il distacco, ma il supporto e la consolazione ci mostrano l’importanza e la necessità di appartenere a Cristo e a una comunità cristiana
Davanti alla morte, in circostanze drammatiche, di un giovane di 20 anni sono tanti gli interrogativi ai quali non sappiamo dare delle risposte. Come si può credere in Dio di fronte alla tragedia che ha colpito Andrea? Sentiamo dentro di noi un senso di ribellione verso il dolore, la sofferenza e l’assurdità della morte. Stiamo vivendo un distacco tragico, incomprensibile, che solo la fede nella Risurrezione di Gesù ci ricorda che la nostra vita non è tolta, non finisce, ma è trasformata. Queste domande diventano per noi una richiesta di aiuto. “Signore, non sappiamo cosa dirti, accetta questa nostra sofferenza come preghiera”. Chiediamo alla Parola di Dio, che è l’unica affidabile, una parola di luce, una grazia di speranza, un conforto per la vita. In questi giorni, come ha sottolineato il Vescovo nella lettera ai genitori di Andrea, la comunità parrocchiale ha offerto una “preziosa testimonianza di carità, che mostra la verità e la bellezza del nostro essere Chiesa”. Insieme al dolore abbiamo intuito alcuni segni e alcune luci di resurrezione: la presenza costante dei parenti, gli amici dei 40 anni di vita della parrocchia delle Sante Capitanio e Gerosa, giovani di ieri e di oggi dell’oratorio, gli studenti del Liceo Copernico, insegnanti, dirigenti e una comunità cristiana che prega e si prende cura. Tutto questo ci dà la consolazione e ci mostra l’importanza e la necessità di appartenere a Cristo e a una comunità cristiana… Sono segni di resurrezione, piccoli, che ci danno la forza per riprendere i nostri cammini. Questo affetto e questa sofferenza ci dicono l’importanza delle relazioni. Perché noi siamo i nostri legami: siamo il frutto delle relazioni che riusciamo a costruire e a coltivare. Non è vero quello che il mondo ci vuole far credere, che una vita per realizzarsi ha bisogno di assoluta autonomia, di illimitata indipendenza, di totale autosufficienza. Pensare ciò significa solo creare l’anticamera della solitudine e dell’aridità. Abbiamo bisogno degli altri, di essere coinvolti nei progetti di molti, per riempire la vita di significato. Nella vita si gioca in squadra: nessuno può fare a meno degli altri o può smettere di pensare agli altri. Il nostro compito, quindi, non finisce ma si rinnova. Dobbiamo essere presenza e sostegno per i genitori di Andrea, Marisa e Stefano, e per quanti, anche nelle nostre comunità, affrontano (spesso da soli) il dolore. Siamo noi, allora, ad aiutare Dio a rendersi presente.