La morte ci interroga
Di fronte alla morte fatichiamo a trovare parole di speranza. Figurarsi se la vita in questione è quella spezzata di un bambino di otto anni
Di fronte alla morte fatichiamo a trovare parole di speranza. Figurarsi se la vita in questione è quella spezzata di un bambino di otto anni.
Lungi dall’utilizzare parole di biasimo e di condanna. Dio solo sa quanto, e per quanto, piangerà il cuore delle persone che hanno intrecciato la loro esistenza con chi, per una serie di motivi, ha deciso di togliersi la vita, di rinunciare al bene più grande che abbiamo.
Proviamo a riflettere insieme e a offrire alcune piste.
Nessuno ha il potere di tornare indietro nel tempo. Ma quante volte, più o meno consapevolmente, ci rendiamo conto che con il nostro atteggiamento abbiamo arrecato danno a una persona. Quante volte, semplicemente, non ci accorgiamo che chi è al nostro fianco soffre (non solo dal punto di vista fisico). Come famiglie e comunità dobbiamo avere il coraggio di recuperare quel desiderio di prossimità che accomuna la nostra civiltà e che, forse, abbiamo un po’ perduto. Prossimità da esercitare anche con chi ha provenienze culturali o idee diverse dalla nostra.
I genitori, come tutti gli educatori, sono sottoposti al rischio di un fallimento educativo. E non per questo sono dei “cattivi” genitori ed educatori. Facciamo fatica a dirlo, ma è così. Sono troppe le variabili che subentrano nel processo educativo. Questo, però, non ci dispensa dal mettere in atto tutte le attenzioni per far sì che la responsabilità educativa sia sempre messa in atto. Non possiamo rinunciare all’educazione. Bambini, ragazzi e adolescenti hanno bisogno di essere ascoltati. Non possiamo accontentarci di comunicare via whatsapp, abbiamo bisogno di guardarci negli occhi.
La scuola ha un compito gravoso. È, forse, il primo ambito nel quale l’uomo contemporaneo è sottoposto a un giudizio e a una punizione. Recuperare l’alleanza con la famiglia significa anche stabilire che percorso educativo seguire. Oggi corriamo il rischio di creare una società da una parte impreparata ai “no” e dall’altra incapace di imparare dagli errori.
Il valore della vita va gridato ad alta voce e va testimoniato. Sempre. Anche quando la vita pare, secondo la percezione umana, avere un minore significato. Questo, forse, è quello che va ricordato a chi resta. Se fossi un insegnante, in classe proporrei di parlare sì della morte ma di valorizzare soprattutto la vita; cercherei di individuare tutte le cose belle che ogni bambino/ragazzo/adolescente sperimenta ogni giorno e che, troppo spesso, sottovalutiamo. Ma questo può essere un esercizio utile anche per i “grandi”.