La maledizione del fossile
Petro-aggression: quando il petrolio provoca la guerra è il titolo di un volume del politologo americano Jeff Colgan sulla tendenza, per nazioni caratterizzate da grandi riserve petrolifere, a ritrovarsi coinvolte in guerre. La probabilità che i petro-stati (nazioni con 10% o più del PIL da ricavi petroliferi) istighino un conflitto internazionale è del 250% maggiore rispetto a un Paese “normale”. Per un economista, questa è la versione più recente di una congettura risalente almeno ai primi del Settecento, la cosiddetta maledizione dell’abbondanza: Paesi ricchi di risorse minerarie tendono a sprecare le relative rendite e a evidenziare crescita economica e del benessere meno robusta rispetto alle altre economie. L’attività estrattiva è talmente redditizia da spiazzare altre industrie nell’allocazione degli investimenti in capitale umano e fisso. I Paesi esportatori diventano spesso extra-dipendenti da queste attività, elevandone troppo i livelli di investimento, a spese degli altri settori.
D’altra parte, se i giacimenti naturali tendono a generare significative rendite finanziarie, spesso creano relativamente pochi posti di lavoro di qualità. Fatichiamo a trovare intorno a noi beni o servizi di successo dei maggiori esportatori di gas o petrolio, dalla Russia, all’Arabia Saudita, all’Iraq o Venezuela, che d’altra parte non sono campioni nemmeno di occupazione o qualità della vita. La maledizione non sembra essere limitata al rendimento economico. Non pochi di questi Paesi soffrono di consistenti “divari” anche in fatto di uguaglianza, promozione dei diritti umani, sviluppo della democrazia. Anzi, è piuttosto fondata l’idea che proprio la qualità degli istituti democratici e giuridici stia in un rapporto complesso e problematico con l’abbondanza di risorse naturali. Il caso della Russia appare una variante contemporanea del complesso militare-industriale stigmatizzato da Eisenhower nel 1961.
L’Occidente ha solide responsabilità, innanzitutto per aver conservato la propria tossicodipendenza dai combustibili fossili, spacciati da un’autocrazia minacciosa e sprezzante. Con ogni probabilità la Russia ha finanziariamente sostenuto sia l’ondata globale di movimenti demagogici e nazionalisti – anche nostrani – del decennio passato, sia varie campagne distorsive sulle cause di inquinamento e cambiamento climatico e sulle politiche per combatterli, a difesa degli interessi dell’industria fossile. Con gli esiti dolorosamente prevedibili dei nostri giorni.