La libertà di non abortire
L’articolo 1 della legga 194 che disciplina l’interruzione volontaria della gravidanza afferma che “lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. È in questo spirito che alcune settimane fa il Consiglio comunale di Iseo ha approvato una mozione in cui il Comune si impegna a sostenere con un sussidio (aderendo, se necessario, alle iniziative dei Centri di aiuto alla vita e del Movimento per la vita) le donne intenzionate ad abortire per motivi economici con l’attivazione di progetti sociali individualizzati e un sostegno anche psicologico e di vicinanza. La mozione allarga poi l’orizzonte all’attenzione sulle situazioni in cui l’aborto sia determinato da problemi di salute della madre e/o del feto e ad altri casi e si impegna per un’azione culturale e di stimolo allo Stato in merito a investimenti sulle politiche familiari e interventi mirati. Una visione quindi non certamente miope o volta solo a impedire l’aborto.
La cosa però non è piaciuta a molti, che vi hanno visto un attacco alla legge 194 e, più in generale, allo stato laico, l’intolleranza verso la fragilità umana e la negazione assoluta della autodeterminazione delle donne e dei loro diritti. Si tratta di argomenti sentiti molte volte, ispirati a un laicismo esasperato e ideologizzato, che sfugge il confronto sereno e pacato sui problemi. Nessuno infatti nega la oggettiva drammaticità della condizione di moltissime donne davanti a una maternità indesiderata o difficile, molto spesso lasciate sole dal padre del bambino, alla prese con la mancanza di casa e di lavoro, senza aiuti significativi da parte dei servizi pubblici. Ma pensare di risolvere la questione con l’aborto è solo una pietosa bugia che forse continuiamo a raccontarci, soprattutto perché il dibattito pare molte volte strumentale e orientato più ad affermare in modo perentorio il diritto acquisito ad abortire che non a riflettere in modo più ampio. Certamente la donna ha i suoi diritti: ma dove mettiamo il diritto primo e fondamentale del bambino non nato? Se lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio, questa vita non nata deve essere protetta anche perché più indifesa di altre e proporre interventi almeno per tentare di farlo è un’azione che merita rispetto. In secondo luogo si invoca con molta enfasi l’autodeterminazione delle donne: ma ci si potrebbe domandare se essa, per molti, non sia a senso unico, cioè una donna si autodetermina solo se decide di abortire (e non neghiamo che questa decisione sia sempre drammatica e faticosa), mentre se fa il contrario e sceglie di continuare la gravidanza, è incapace di determinarsi, è una vittima del maschilismo e della cultura della repressione che la vuole relegare in ruoli passivi e non protagonisti? Inoltre si afferma che aiutando economicamente le donne si “compra” la loro maternità, limitandone di fatto la libertà: però c’è anche la libertà di non abortire e il sostegno offerto non viene mai percepito come una squallida transazione commerciale (lo sa bene chi avvicina anche una sola di queste donne). Al contrario, esso, il più delle volte, innesta meccanismi di fiducia, di disponibilità e di rinnovata responsabilità che spesso aprono prospettive impensabili in precedenza. Infine, si tace sempre sul dopo - aborto, sul dolore sordo e terribile che accompagna le donne che hanno abortito che molto difficilmente riescono non a dimenticare, ma almeno a convivere con il ricordo: sarebbe auspicabile che i paladini della 194 riflettessero anche su questo aspetto e si domandassero se non valga la pena di fare qualcosa per evitare questa sofferenza.