La lezione di madre Menni
La lezione di madre Eugenia Menni, morta il 31 marzo 2000, dentro il Giubileo che salutava il nuovo millennio, al quale papa Giovanni Paolo II aveva assegnato il compito di proclamare “Cristo ieri, oggi, sempre”, è ancora viva. Sempre attuale nel chiedere di guardare alle sofferenze dell’umanità con gli occhi e il cuore della carità, la sola capace di comprendere, di condividere e di prendersi cura di chiunque chiedesse aiuto per andare oltre gli affanni e così incontrare la speranza, vera medicina e conforto. Se ne andò preoccupandosi solo di essere rivestita con la veste che per oltre 50 anni l’aveva accompagnata, quella data in dote alle “Ancelle della Carità”, completata dal Crocifisso e dalla promessa di “servire la Carità nel suo cammino, senza vantarsi di fare semplicemente carità. Di quel pensiero madre Eugenia aveva lasciato traccia nelle parole regalate a chi chiedeva sue notizie, quando già sentiva avvicinarsi la fine dei giorni che il Buon Dio le aveva riservato, raccomandando di vivere ogni giorno “la bellezza della Carità” e il dovere di “essere servitori della Carità e mai semplicemente suoi portatori o dispensatori”.
Si preparava già a incontrare sorella morte madre Eugenia, ma ancora apriva col sorriso e concludeva qualsiasi occasione d’incontro implorando di non lasciare “nulla di intentato affinché a nessuno dei fratelli mancasse il conforto e l’assistenza necessaria...”. Voleva dire, forse, che non la possibilità di pagare doveva sovrintendere l’azione, bensì l’amore e l’onore di curare per restituire vita ai malati… Madre Eugenia Menni − Agnese Maria alla nascita − era nata il 21 gennaio 1926 a Trenzano, paese della Bassa bresciana. A 20 anni decise di farsi suora scegliendo l’abito e la regola delle “Ancelle della Carità. Maturò la sua vocazione tra preghiere e impegno di servizio rivolto alle sorelle suore e alla gente di una Brescia allora dolente per la guerra e pervasa dall’ansia della ricostruzione. Dopo la professione, iniziò il suo cammino di servizio prima a Casa Madre, quindi in Svizzera nella missione voluta dalla Congregazione per essere vicina agli emigrati. Continuò l’opera a Lonato (dove l’Istituto intitolato a Paola Di Rosa, la fondatrice delle Ancelle, assicurava sapere e ospitalità alle nuove generazioni), a Crema e da lì di nuovo a Casa Madre, con la responsabilità di Superiora Generale della Congregazione “amica e prossima delle sue suore e di chi alle suore chiedeva aiuto, comprensione e preghiere…”.
Tutto senza dimenticare che la prima missione delle Ancelle era servire gli ammalati chiunque essi fossero. In ragione della “sublime convinzione” di essere e restare “primi nel testimoniare, primi nel servire, primi nel rendere visibile la Carità”, madre Eugenia immaginò una “nuova Poliambulanza” tutta da costruire e inventare, ma già ben delineata nel suo pensiero. Sorretta dalle sue suore, intraprese il cammino ispirato dalle “opere di misericordia” che il catechismo collocava tra i “santi precetti” da assolvere per conquistare un posto in Paradiso. Sfidando l’impossibile, ma confidando ciecamente e costantemente nella Divina Provvidenza, “che mai smette di assecondare gli impegni dedicati al prossimo che soffre e spera giorni migliori”, madre Eugenia inventò e costruì opere che ancora testimoniano di quanta misericordia e benevolenza per i sofferenti fosse circondato il suo tempo: Domus Salutis; Cooperativa di solidarietà Comunità Nuova; Lavanderia di socializzazione; nuova missione in Ecuador; Centro famiglia per ammalati di Aids; Scuola infermieri Paola di Rosa; Casa Gabriella (piccola grande opera di assistenza per bambine e bambini senza un tessuto familiare nel quale sentirsi amati e protetti); nuova missione in Ruanda; Casa di cura San Clemente (a Mantova); Hospice; Casa Provincializia di Spalato (ricostruita dopo la devastazione subìta a causa della guerra); Nuova Poliambulanza (un raro modello di buona sanità). Tutto questo arricchito, in ricordo della sua morte, con la mensa, a lei intitolata dai volontari e dagli operatori di carità, servizio quotidiano di distribuzione di pane e companatico ai poveri e agli immigrati, di ospitalità per gli immigrati.... Di lei in tanti hanno sottolineato la “fede e la carità”, nominandola “Ancella della Carità nel Novecento bresciano”, “suora e madre coerente con la sua scelta religiosa”, “il modo bresciano di costruire la città dell’uomo nel tempo moderno”, “un capitolo di storia straordinario”, “una donna audace nella carità, disposta alle critiche, ma risoluta a essere anello di una tradizione che non può morire”. Tornasse oggi, madre Eugenia ripartirebbe col dire “nessuno deve essere escluso dalle cure, costi quel che costi, magari inventando un fondo che possa supportare chi non ha mezzi per pagare…”. E lei, di nuovo, sarebbe di sicuro modello incomparabile di quella “buona sanità” che oggi manca e di cui invece sentiamo urgente bisogno.
