La lezione di Godeliève
Davanti agli occhi di molti di noi scorrono ancora le immagini del genocidio che, 30 anni fa, sconvolse il Rwanda. In soli 100 giorni ci furono un milione di morti in una guerra fratricida a colpi di machete. Brescia allora, grazie al carisma di Enrica Lombardi, si attivò per offrire un porto sicuro a 41 bambini, oggi cresciuti e diventati grandi.
Il Festival della Pace ha permesso di rileggere quella porzione di storia così dolorosa attraverso mostre e momenti di riflessione. In particolare, Godeliève Mukasarasi, testimone e vittima, ha incontrato molti studenti che le hanno rivolto tante domande, le hanno stretto le mani e l’hanno abbracciata. È la forza dell’umana compassione nel suo significato più pieno. “Dovevamo ricominciare a vivere”. Con questo spirito, Godeliève ha fondato l’associazione “Solidarietà per la promozione delle vedove e degli orfani in vista dell’impiego e dell’autopromozione” (Sevota), che non ha mai smesso di operare, arrivando ad assistere e ad accompagnare più di 70mila persone. Senza distinzioni tra le mogli degli autori delle violenze e le donne vittime degli stupri.
La sua famiglia e quella di suo marito sono state sterminate. Lei, assistente sociale, ha trovato il coraggio di ripartire. Dopo il primo incontro con un gruppo di vedove nel dicembre del 1994, ha promosso iniziative di sensibilizzazione, ha favorito la nascita di gruppi di mutuo aiuto e ha creato le condizioni perché le persone si rimettessero in piedi in autonomia attraverso un supporto psicologico e finanziario (determinante anche il sostegno della comunità parrocchiale). Il Paese ha intrapreso un processo difficile ma inevitabile di ricostruzione morale del tessuto sociale: “Tutti dobbiamo partecipare alla ricostruzione delle nostre comunità e alla guarigione della memoria. I responsabili del genocidio devono pentirsi, devono chiedere perdono, mentre i sopravvissuti devono imparare a donare il perdono”. Il perdono, come racconta Mukarasi, inizia a livello personale. E ciascuno deve fare su se stesso questo lavoro “per vedere cosa c’è di male e cosa c’è di bene, per poi lasciare andare via il male e dirigersi verso il bene”.
Nella vicenda di Godeliève ha recitato un ruolo importante la fede, messa sicuramente a dura prova (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” gridò Gesù sulla croce), ma più forte della durezza di un cuore che non riesce più ad amare e incomincia a odiare. Non è stato un percorso facile, perché i responsabili erano soprattutto uomini, mentre le vittime di abusi e di violenze erano donne. E “nella cultura patriarcale l’uomo non deve abbassarsi a chiedere perdono a una donna”. La Chiesa locale e le organizzazioni civili si sono prodigate nella formazione e nell’informazione per agevolare un cambiamento di mentalità. I colpevoli sono arrivati a chiedere perdono e i sopravvissuti hanno preso coscienza della possibilità di concedere il perdono. Ogni martedì pomeriggio si svolgono delle assemblee popolari, perchè, citando Godeliève, “dare e ricevere perdono, permette di superare la sofferenza e aiuta a essere in pace con se stessi”. Dal Rwanda arriva una lezione anche per le nostre comunità così rancorose e litigiose. Siamo in grado di farne tesoro? Ha creato anche il Giardino dei Giusti, ma come ha sottolineato ai più giovani “la pace e la stabilità non sono qualcosa che si ottiene una volta per tutte”. Ecco perchè continua a lavorare “affinché tutti i ruandesi si sentano autenticamente fratelli. Ne va del futuro dei nostri bambini e dello sviluppo del nostro Paese”. A ogni latitudine.