La generosità di Dante
Ho conosciuto Dante Anselmi e ho apprezzato la sua straordinaria capacità di stare “tra i grandi e i potenti senza sentirsi grande e potente”
Da un po’ di tempo viveva lontano dalle “cose da fare” e si preoccupava soltanto di tenere vive le amicizie e di alimentare i rivoli della generosità a cui si era dedicato ritagliando spazi alle consuete occupazioni. In ogni caso, Dante Anselmi “c’era”. Era lì per alimentare le azioni destinate al bene della comunità, oppure per dire parole utili a disegnare la strada su cui muovere i “buoni passi”, ma anche per “dare una mano” a preti, suore, volontari, a chiunque avesse cuore e mente disposti ad abbracciare persone. In verità, nessuno può dire in che modo Dante Anselmi, imprenditore, immobiliarista di una città che prima doveva essere dell’uomo, partecipe convinto ai progetti che avevano in cuore di salvare posti di lavoro e di creare nuova occupazione, cristiano “umile e indegno” diceva lui, ma per i tanti che con lui condividevano la fatica del “fare bene il bene”, molto di più. Certamente umile, Dante era infatti ricco di un Vangelo fatto di piccoli-grandi gesti quotidiani di fraternità.
Era nato in Trentino ottantasei anni fa, ma dopo un anno lui e la famiglia, compresa l’attività di produttori e venditori di frutta che papà aveva incominciato, diventarono bresciani a tutti gli effetti. “Gli Anselmi”, per dirla alla maniera dei dicitori di storie illustri, hanno segnato le vicende imprenditoriali bresciane con la discrezione dei semplici, la laboriosità di coloro che sanno quanta fatica serve per far crescere il melo per poi costruirgli accanto una casa da abitare, la passione degli ottimisti, la parsimonia dei saggi che misurano prima l’essere e poi l’avere, la sobrietà e la probità che contraddistinguono gli innamorati del giusto. Dante, di questo genere di Anselmi, è stato prima il continuatore dell’idea paterna, poi l’anima di ogni iniziativa intrapresa, sale buono per condire il quotidiano, stimolo a fare anche quando il “fare” significava sfidare rendite di posizione e privilegi consolidati, sostenitore del mutuo e silente soccorso, artefice di positivi bilanci per le sue tante società, ma anche in grado di “trattenere l’utile e il necessario” e di distribuire la rendita in mille rivoli di quotidiana generosità.
Ho conosciuto Dante Anselmi e ho apprezzato la sua straordinaria capacità di stare “tra i grandi e i potenti senza sentirsi grande e potente”. Alimentando uno dei primi della bontà assegnati dal comune di Brescia nel nome di Pietro Bulloni, nelle lettere con cui accompagnava l’offerta scriveva che ogni gesto di bontà fatto ad altri portava con sé benedizioni e gratitudini che moltiplicavano per dieci-cento-mille il valore del dono. Simpaticamente e rispettosamente, gli amici e anche i nemici lo chiamavano “Monsignore”, volendo con ciò riconoscerli le doti tipiche di un prelato di Santa Romana Chiesa e che si chiamano bontà, perdonanza, servizio, aiuto, misericordia, generosità, disponibilità, povertà, gratuità… Per Bruno Boni, indimenticato sindaco di Brescia, Dante assomigliava al “menestrello fortunato, che col sorriso stampigliato sul viso vinceva anche le più astute e feroci resistenze”. E perché il suo dire non fosse inteso come laude al “fortunato uomo d’affari”, ogni volta che lo incontrava toglieva cento lirette dalla tasca e le gliele consegnava con la raccomandazione di farne “buon uso”. Dante se ne è andato mentre era in vacanza tra i monti del Trentino. Mercoledì è tornato per ricevere il saluto della gente che lo amava e lo rispettava e con la quale ha mischiato i suoi giorni. Ti sia lieve la terra, caro Dante, e felice sia la corsa al Cielo che ti appartiene di diritto avendo provveduto a distribuire, ovunque, manciate di bene e grappoli di generosità.