La disinformazione alimenta la polemica
Il suo è un Governo fragile perché così vogliono le forze politiche: quelle che organizzano la piazza per andare al voto sapendo perfettamente che non si possono allestire i seggi con due sistemi elettorali diversi per Camera e Senato
“Avviso agli studenti di Diritto Costituzionale. Chi tra di voi avesse pubblicato sulla propria bacheca la frase ‘un altro Presidente del Consiglio non eletto dal popolo’ − o altre aberrazioni equivalenti − è pregato di chiudere per sempre l’account Facebook, onde evitare di cagionare danni a cose o persone, di abbandonare la Facoltà di Giurisprudenza e iscriversi a Scienze delle Piadine al Prosciutto presso l’Università della Vita. Andiamo male, ragazzi. Molto, molto male”. Il post è di Guido Saraceni, professore di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Teramo. Reagisce alla disinformazione che viaggia veloce nella complicata e scomposta piazza dei social media (se servisse conferma basta scorrere i commenti ricevuti dal post), che sempre più spesso affiora nella satira (ma si dice per scherzare, no?), galleggia nei programmi televisivi, si fa tormentone dei menefreghisti radiofonici spalmati nei vari palinsesti, si intrufola nei siti dei grandi quotidiani la cui unica preoccupazione sembra essere quella di conquistare visualizzazioni da mettere sul tavolo dei pubblicitari.
Nella composita coalizione che si vanta di aver portato Renzi alle dimissioni si è fatto a gara anche per il copyright di quest’ultimo equivoco: credo abbia vinto Giulia Grillo del Movimento cinque stelle, che ha scandito le granitiche convinzioni del suo gruppo subito dopo il colloquio con Mattarella. Vale anche per lei, come per gli innumerevoli difensori della Costituzione che della Costituzione parlano soltanto per sentito dire, l’invito del professore di Teramo ad andare a leggersi l’articolo 92 della nostra carta fondamentale: “Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Piaccia o non piaccia – ma a loro dovrebbe piacere molto visti i festeggiamenti del 4 dicembre – la nostra è una Repubblica parlamentare, non presidenziale; il popolo elegge il Parlamento, non il presidente del Consiglio, non il Governo. Paolo Gentiloni è dunque presidente del Consiglio nel pieno dei suoi poteri. Non avrà però vita facile. E non perché ha sostanzialmente riconfermato la stessa squadra di Governo di chi gli ha passato le consegne. Avesse proposto diciotto ministri nuovi di zecca il risultato sarebbe stato identico.
Il suo è un Governo fragile perché così vogliono le forze politiche: quelle che organizzano la piazza per andare al voto sapendo perfettamente che non si possono allestire i seggi con due sistemi elettorali diversi per Camera e Senato, ognuna di loro convinta di essere titolare della parte maggioritaria del 60% di No che ha messo fine alla spinta riformatrice degli ultimi tre anni; quelle che hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi e a cui fa comodo che ci sia un Governo da martellare di critiche; quelle che pensano alla riforma elettorale come occasione per rimettere le lancette della politica indietro di qualche decennio; quelle che non sanno più cosa fare, dove andare, come andarci, con chi, per che cosa. Come il Partito democratico, diviso e sbandato, con una sinistra interna che festeggia e un segretario sconfitto che potrebbe tentare di trasformare in voti, fuori dal Pd, il 40% che ha saputo catalizzare attorno al SI. L’esito del duro confronto referendario è un quadro politico in fibrillazione, molto concentrato sul proprio ombelico, assai meno sulle questioni che devono essere governate: ripresa economica, immigrazione, finanza, disuguaglianze sociali, occupazione. Non vale la pena fare previsioni di durata sul nuovo Governo. Auguriamogli solo di poter lavorare.