La cura, rete tra chi dona e chi riceve
In questi mesi, in particolare dopo la crisi del Covid-19, sembra che la parola cura si sia largamente diffusa per esprimere, almeno teoricamente, l’atteggiamento di attenzione di un individuo o di un gruppo verso chi ha bisogno di essere accompagnato nei difficili percorsi della vita. Sappiamo bene, però, quanto la parola attenzione sia ancora drammaticamente rara nella nostra vita. E senza attenzione non vi è cura, perché non vi è la possibilità di “vedere” il bisogno, né di capirne le dinamiche, in modo da rispondere adeguatamente alle richieste più o meno esplicite di aiuto. È troppo facile sostenere che la polarizzazione sui social ha ucciso la curiosità, il desiderio di leggere il volto dell’altro; ma certamente stiamo perdendo la capacità di attenzione, presupposto per qualsiasi altro atteggiamento di disponibilità.
“L’attenzione è la forma più rara e preziosa della generosità” ha scritto la grandissima Simone Weil; un’affermazione forte, perché esclude qualsiasi possibilità di cura astratta, senza la concretezza dell’uso dei sensi, e smaschera atteggiamenti fatui e retorici. Quindi, anche la rete che collega una persona all’altra persona, la catena del noi, entra in crisi se non è caratterizzata dal vedere; una rete solo formale, incapace di osservare, elaborare e intervenire è senza fondamento e senza prospettiva. Ricordo una frase di Pasolini il quale, per descrivere la caratteristica principale di Madre Teresa di Calcutta, scrisse: “Dove guarda vede”. La Santa ha utilizzato la sua attenzione alla sofferenza per costruire un’opera di carità: Pasolini l’ha capita e con tre parole ha spiegato il senso e il fondamento di un’opera grandiosa.
Spesso, purtroppo, la polarizzazione sugli schermi dei cellulari non permette nemmeno di guardarsi attorno; è quindi importante liberare lo sguardo, in particolare quello dei giovani, per permettere loro di guardare, per poi educarlo al vedere. L’attenzione si fonda sui sensi (vista, udito, tatto, olfatto); poi per diventare cura ha bisogno del cuore, cioè della scelta umana di supportare l’altro con atti di cura. Il cuore è l’immagine del nostro cervello che decide di trasformare i messaggi che ha ricevuto in atti concreti verso il sofferente. Chi scrive queste righe – e colgo l’occasione per ringraziare il Direttore di Voce per il gradito invito di accompagnare mensilmente il lettore sui vari temi della cura – è più esperto di cervello che di cuore, però l’immagine di un cuore che viene stimolato dall’attenzione descrive la condizione di noi esseri umani, aperti a costruire una vita appesa alla rete. Una rete che rompe la solitudine, il silenzio non voluto, l’incapacità stessa di chiedere un supporto e di riceverlo esprimendo un’adeguata gratitudine a chi ci è vicino. Una rete che si ispira all’affermazione: “Forte è chi tratta la fragilità con gentilezza”. La rete e la cura sono attenzione, cuore, cervello, generosità e forza.