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Brescia
di MARCO TRABUCCHI 30 gen 2025 08:23

La cura è gentile

Oggi la parola gentilezza è di moda. Ne vorrei però proporre una lettura impegnativa all’interno della logica della cura. Cosa significa essere gentili quando si accompagna una persona nelle strade complesse della vita? Quali sono i momenti più delicati nei quali la gentilezza sviluppa il massimo delle sue potenzialità come strumento di cura?

La gentilezza è il segno esteriore di una moralità profonda, di un desiderio sincero, che si esprime con atti visibili, di essere utile per alleviare la sofferenza dell’altro. Il desiderio di curare toglie di mezzo qualsiasi pretesa di risarcimento, concreto o psicologico. La gentilezza non è mai noiosa, ripetitiva, pesante, intrusiva, ma sempre lieve, pur senza perdere di concretezza e quindi di serietà e credibilità. Una delle espressioni della gentilezza è l’affidabilità, modalità per dare alla relazione un tono normale, di rapporto facile e concreto, stabile, che induce fiducia nell’altro, il quale così non deve ogni giorno preoccuparsi se i sentimenti positivi sono o meno destinati a durare nel tempo. La gentilezza permette di superare le barriere che talvolta erigono quelli che chiedono aiuto, i silenzi di chi non ha nemmeno il coraggio di chiedere aiuto o è troppo orgoglioso per farlo, i rifiuti di chi, pur essendo in difficoltà, non ha la capacità di accettare la mano tesa.

La gentilezza nei rapporti tra le persone è una testimonianza che va controcorrente e, come tale, rischia talvolta di non essere compresa: perché un atto di cura, un sorriso, un gesto sereno in un mondo di persone distratte, lontane, prive di sentimenti di vicinanza? In alcune situazioni la gentilezza deve superare sé stessa, quando le circostanze vanno nel senso contrario; si è sostenuto che, ad esempio, nel lavoro di cura rivolto a persone affette da malattie di lunga durata, che impongono disponibilità sulle 24 ore, bisogna “essere santi” per non reagire in modo brusco, dimenticando gli accenti della gentilezza. Ma in questi casi si gioca davvero la grandezza di un’umanità che non perde le sue fondamentali caratteristiche. La gentilezza deve essere un comportamento “normale” anche nei servizi dove si prestano cure di valenza clinico-assistenziale, in particolare se dedicati a persone fragili, come l’anziano. Questi, soprattutto quando presenta una compromissione delle funzioni cognitive, è sensibilissimo alle modalità con le quali viene avvicinato, toccato, sostenuto. La gentilezza si esprime in un tono di voce senza accentuazioni, in una carezza lieve che accompagna il contatto, in un volto sereno, in occhi sorridenti. Frequentemente la persona non conserva memoria razionale di quanto ha ricevuto, ma un sentire positivo che dura nel tempo. La gentilezza viene sempre interiorizzata; anche se la risposta non è razionale, induce un sottofondo di vita serena, esso stesso una cura. Queste indicazioni sono importanti nei luoghi di cura, in particolare nelle Rsa dove la gentilezza qui e ora esprime la sua azione positiva ma, allo stesso tempo, lascia una scia di serenità. Perché questo è un mondo nel quale nulla passa senza lasciare il segno, in tutti i suoi abitanti, ospiti e operatori. La gentilezza, e non è condizione trascurabile, premia chi la pratica: la vita si libera di problematiche artificiali, diviene un’opera di donazione che, alla fine, ritorna a premiare se stessa.



@Foto Emergenza Sorrisi

MARCO TRABUCCHI 30 gen 2025 08:23

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