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di MARCO TRABUCCHI 05 dic 2024 12:21

La cura della solitudine

Riferirsi alla solitudine come condizione da curare potrebbe sembrare un’affermazione eccessiva. Invece, il termine “cura” si applica a uno stato che provoca gravi danni alla salute fisica e alla psiche delle persone colpite, in particolare in età avanzata.

È ben noto quanto dichiarato recentemente dal capo dei medici americani: “La solitudine è mortale”. Provoca infatti un aumentato rischio, tra le altre, delle malattie cardiovascolari e polmonari, accompagnato da un aumento rilevante (si ritiene attorno al 30%) dei casi di demenza. Inoltre, la solitudine provoca un incremento della mortalità, con una riduzione della durata della vita. In questi anni sono stati pubblicati molti studi sulle strade possibili per un’effettiva diminuzione di una condizione che provoca tanto dolore e sofferenza. Un compito complesso, anche perché Il fenomeno è in crescita in tutto il mondo. Particolarmente impressionante è l’esempio del Giappone (in questo Paese nei primi sei mesi di quest’anno sono state trovate morte 37227 persone che vivevano in solitudine e circa 4000 di queste sono state scoperte più di un mese dopo la loro scomparsa).

In Italia la situazione apparentemente non è così drammatica, ma l’attenzione alla solitudine deve essere alta e così l’impegno per lenirla; le trasformazioni sociali anche da noi stanno provocando la crisi delle convivenze, accompagnata dal rischio che molti cittadini siano costretti a vivere da soli. Talvolta sono situazioni subite, perché non vi sono alternative possibili, talaltra, invece, l’individuo tende ad isolarsi perché incapace di convivenze serene. Chi è solo ha bisogno della nostra cura, atteggiamento che inizia dalla comprensione delle motivazioni che hanno provocato la crisi; senza queste informazioni si rischiano atteggiamenti che non colgono le cause della condizione che richiede cura, tenendo presente che frequentemente la persona sola non comunica le cause e i toni della sua sofferenza. La cura, dopo l’impegno per la conoscenza delle dinamiche del dolore, deve esprimere una vicinanza intensa, rispettosa allo stesso tempo del desiderio di autonomia.

È un impegno delicatissimo: va compiuto con rispetto, lievità, senza intrusioni (tenendo presente che talvolta la comprensione dei confini è diversa tra chi soffre e chi vorrebbe lenire la sofferenza dell’altro). La cura, per essere efficace, deve essere costante, con attenzione particolare ai momenti nei quali la solitudine è più dolorosa; approcci sporadici non raggiungono alcun risultato. La costanza della tenerezza deve caratterizzare l’impegno, garantendo la disponibilità alla vicinanza fisica; i social non sono un antidoto alla solitudine, anzi, in alcuni casi ne sono una concausa. Peraltro, la solitudine difficilmente si gioverà dei prossimi avanzamenti tecnologici; l’intelligenza artificiale sarà in grado di descrivere i motivi che hanno indotto una vita in solitudine, ma non permetterà di capire cosa è avvenuto nel cuore di chi è solo. E solamente un altro cuore, generoso e attento, sarà in grado di lenirla. Un cuore che usa il linguaggio dell’ascolto e del silenzio e quello dello sguardo, che vede per creare legami. La cura verso le solitudini ha anche un altro ambito, quello dei servizi e della protezione comunitaria. Aspetto altrettanto importante quanto quello del rapporto personale, che non deve mai mancare quando si mettono in atto azioni collettive, dove il cittadino possa trovare cura e accompagnamento.

MARCO TRABUCCHI 05 dic 2024 12:21