La campanella suona
La campanella del primo giorno di scuola suona un po’ per tutti, concomitante con l’appuntamento delle elezioni politiche, e la coincidenza non può passare inosservata. Il tempo di buoni propositi può essere occasione perché istruzione, educazione e politiche giovanili divengano priorità del Parlamento? Speriamo che le promesse non siano sola vetrina elettorale, insostenibili. Schiacciata in un elenco di mille altri temi, tutti rilevanti, l’istruzione è presente in ogni programma di partito. Un lungo elenco: estensione del tempo pieno, obbligatorietà di frequenza della scuola dell’infanzia, stabilizzazione di tutti i docenti precari, riduzione del numero medio di alunni per classe, aumento degli stipendi secondo la media europea. Timidamente riappare lo ius scholae e velatamente si sfiora il tema di una reale parità scolastica. Non mancano frasi ad effetto circa l’introduzione di uno psicologo per ogni scuola, il rientro dei cervelli dall’estero, l’educazione sessuale in ogni aula, un generico superamento dell’alternanza scuola-lavoro, l’abolizione dell’ora di religione. Si vuole introdurre persino l’educazione civica, già introdotta da leggi precedenti! Gli esperti della rivista Tuttoscuola stimano che per l’attuazione di queste proposte servano circa 15 miliardi di euro.
I dati presentati dalla Commissione europea (fonte Eurostat) raccontano di ben altra attenzione. Su 31 Paesi, l’Italia nel 2021 si è posizionata all’ultimo posto per percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione, a fronte di un dodicesimo posto – perfettamente in media Ue – per le spese della difesa. Il nostro Paese investe in istruzione l’8% della spesa pubblica totale, la media Ue è del 10%, Francia e Germania si attestano sul 9,5%. Il calo di investimenti italiani nell’istruzione prosegue dal 2009, indipendentemente dallo schieramento politico al governo. La spesa pubblica per l’istruzione indica una tendenza, è cultura politica ed opinione diffusa. Non è l’unico dato, poiché la quantità si unisce alla qualità. Partendo dall’edilizia e dallo snellimento di uffici centrali e antiche burocrazie, nell’agenda politica dovrebbero entrare parole come valutazione del sistema, equa distribuzione di risorse, vera autonomia delle scuole, formazione del personale, riorganizzazione dei contratti di lavoro, autentica parità scolastica.
Dovremmo forse ripartire da una mobilitazione sulla scuola, intorno ad alcune domande: di chi è la scuola? Il Paese – e ci siamo anche noi come Chiesa – crede davvero che la formazione e la cultura siano essenziali per la convivenza civile e per il futuro? In altre parole, riformare la scuola, avendo chiaro cosa le stiamo chiedendo.