La bontà si eredita
È morta una signora qualche settimana fa. L’aggettivo che più usato per descriverla è “buona”. La vita l’aveva messa a dura prova con una grave disabilità della figlia, ma non aveva mai smesso di prodigare azioni gentili verso gli altri, di avere un grande senso dell’accoglienza quando si entrava in casa sua, di condividere ciò che aveva, di astenersi dal giudicare. Se la cavava con la macchina da cucire e allora regalava a destra e a manca grembiuli e strofinacci confezionati con ritagli di stoffa. Anche suo figlio è buono: è sempre disponibile per un favore, non vuole mai niente in cambio, molto sensibile alle difficoltà di chi incontra. Anche un altro figlio è buono: la sua casa è sempre aperta a chi bussa, regala piccoli oggetti artigianali costruiti da lui stesso, non risparmia abbracci e pacche sulle spalle a chi ha bisogno di un incoraggiamento. E anche la sorella di questa signora è buona. E anche la nipote è buona. E forse anche altri membri della famiglia.
Ma allora sorge una domanda: la bontà si eredita? Probabilmente non è genetica, ma quasi certamente si eredita, nel senso che viene appresa dai modelli dominanti in famiglia. Pensiamo a una coppia genitoriale chiusa in se stessa, insensibile ai bisogni degli altri, poco socievole, diffidente verso chiunque, giudicante, che non mette a disposizione niente per la comunità di cui fa parte (né cose, né tempo). I figli crescono in questo modello di famiglia, con questi valori\non valori, assimilando atteggiamenti e comportamenti: è difficile pensare che crescano molto diversamente da come sono i loro genitori.
Fortunatamente non è una verità assoluta, ma un’alta probabilità, sì. Ciò che è giusto e ciò che è sbagliato un bambino lo recepisce dai propri genitori: questi sono i suoi modelli di riferimento. Un bambino non nasce col bene e il male incorporati: li apprende, direttamente dalle parole dei genitori, indirettamente dai loro atteggiamenti e comportamenti. È vero che poi, in età adulta, i modelli genitoriali possono essere rifiutati, ma molto spesso li incorporiamo, li facciamo nostri, a nostra insaputa, nel bene e nel male, e sradicarli può essere molto difficile. È vero anche che, crescendo, un figlio ha anche altri modelli di riferimento, altre agenzie educative, ma la famiglia è il modello dominante.
La presidente di un’associazione che si occupa di disagio psico-sociale (tossicodipendenza, carcere, psichiatria) spesso e volentieri si trovava a tavola, fin da piccola, persone sconosciute invitate dalla madre: avevano bisogno di un pasto caldo, in compagnia. Questa presidente ha “ereditato” dalla madre la sensibilità verso i bisogni degli altri, il senso di accoglienza, senza giudizio e rimprovero.