La bellezza che abbiamo perduto
Il terremoto è natura, è devastazione che non guarda in faccia nessuno. L'editoriale del n° 41 di "Voce" è di don Adriano Bianchi
La natura non è umana, è crudele, non ha sentimenti, semmai li suscita. Il terremoto è natura, è devastazione che non guarda in faccia nessuno. La cultura invece è umana, è sentimento puro che diventa arte. La cultura nasce dal pensiero e dal cuore, è anima. Sia la natura che la cultura possono essere bellezza, ma l’una risponde alla legge deterministica inscritta in se stessa, l’altra alla legge del cuore degli uomini che danno corpo a ciò che è più profondamente inscritto in loro stessi. Forse per questo ci commuoviamo tanto per il crollo della Basilica di San Benedetto a Norcia simbolo del sisma di domenica scorsa. Guardando le sue macerie ci sentiamo in lutto anche se stavolta, per fortuna, non ci sono morti da piangere. È una chiesa, e non delle più importanti. Non ci va quasi nessuno, solo turisti. Rende qualcosa ai ristoranti nei dintorni, niente a chi la gestisce (l’ingresso nelle chiese non si paga). Però, sentiamo nostra questa perdita, proviamo quasi un sentimento collettivo di desolazione e tristezza che ci tocca come italiani. Noi che camminiamo ogni giorno in mezzo alla bellezza che la nostra cultura ha prodotto e ci accorgiamo quanto conti, quanto cambi la nostra percezione del reale, solo quando viene giù all’improvviso. La logica, le convenienze economiche, e forse il buon senso, direbbero che i borghi colpiti da questo terremoto andrebbero abbandonati. Che vantaggi ci sarebbero a ricostruire? Ma la bellezza delle nostre città e delle nostre campagne e il loro valore, spesso disconosciuto da chi guarda al “quanto costa” e al “quanto rende” e niente altro, non smettono d’interpellarci. Quei borghi, quelle chiese, quel patrimonio è parte di noi anche se mai li abbiamo visitati. In Italia abbiamo i centri antichi più belli del mondo e le periferie e le aree industriali probabilmente più brutte del pianeta. Il sentimento di dissipazione e tristezza che proviamo davanti alla facciata della Basilica di Norcia ridotta a un muro con le orbite vuote arriva anche da lì, dalla consapevolezza che quella bellezza è irripetibile: non sappiamo più fare cose così semplici, così armoniche, così amichevoli per l’uomo anche se costruite per celebrare Dio.
Però c’è anche altro. C’è la consapevolezza, improvvisa, che la bellezza ci consola. Che la nostra povera Italia sarebbe ancor più miserabile se quella bellezza non testimoniasse le sue millenarie capacità di fare, cadere, risorgere e rifare. Levate cento chiese e cento piazze a Roma e Roma diventerebbe una metropoli insopportabile, invivibile. Levate un castello, una pieve, un monastero, certi vicoli e scorci sotto gli archi medioevali, a uno qualsiasi dei borghi italiani e quel borgo diventerebbe un paesetto da niente, una disperata provincia da cui fuggire appena possibile. La bellezza ci salva anche se non ce ne accorgiamo, anche se le passiamo davanti indifferenti perché è sempre stata lì e non la vediamo nemmeno più. Oltre che piangere, e promettere miracolose ricostruzioni, il terremoto – questo, in particolare, perché non ci sono vittime e si può parlare d’altro – dovrebbe servirci per guardarci intorno.
Il sisma, ancora, dovrebbe aiutarci a comprendere il valore che ha la bellezza nelle nostre vite, di come questa stia perdendo terreno e sia necessario, urgente, prendere le sue parti nell’amministrazione dello spazio pubblico e considerarla un valore almeno pari a quello economico. C’è un impegno collettivo da riprendere in mano e non solo nelle zone terremotate, ma in ogni centro, in ogni città, Brescia compresa. Pretendere bellezza e armonia nei progetti, demolire il brutto, impedire che ne sia edificato altro, chiedersi per prima cosa davanti a un’opera, a una soluzione urbanistica, a un progetto: è bello? Rendere, in qualche modo, la bellezza del passato “ripetibile”, affiancata a nuova bellezza magari molto diversa ma piacevole allo stesso modo. Il senso di lutto davanti al crollo di un’opera meravigliosa come la Basilica di Norcia resterà sempre, ma sarà meno acuto se sapremo che la bellezza non è persa per sempre, che ce ne può essere altra, che siamo capaci di riprodurre ancora il senso di appagamento e sicurezza che ci dà una cosa bella, che sia un tempio, una fabbrica, una cascina, un quartiere di edilizia popolare, o un edificio pubblico; che il tocco magico dell’essere italiani e dl sapere fare cose belle, oltreché utili, non lo abbiamo perso. La natura potrà essere ancora dura e crudele; forse concederà ancora una possibilità. Ma fino a che saranno vivi in noi la cultura, l’ingegno, insieme alla tenacia nel rialzarci, non sarà perduta l’anima e l’impronta del vivere insieme.