di LUCIANO ZANARDINI
08 apr 2016 00:00
La banalità del male
Giuseppe Salvatore Riina non ha preso le distanze dal mondo nel quale è cresciuto, ma forse non poteva essere diversamente
Forse era giusto ospitarlo in televisione per comprendere quanta strada dobbiamo ancora fare nella lotta alla mafia, nella lotta a una cultura che è ancora radicata. Accanto a questo era e resta necessario per la televisione pubblica raccontare quanti, davvero, si prodigano per cambiare le cose, altrimenti si corre il rischio di costruire dei falsi miti, degli eroi negativi. Dispiace ancora di più leggere nell’intervista l’aspetto meramente commerciale: la televisione pubblica ha prestato il fianco alla promozione di un libro che sponsorizza un sistema malato e marcio.
Certo, non vorrei essere nei panni dei parenti delle vittime di mafia che davanti alla televisione hanno rivisto la morte dei propri cari e la sconfitta dello Stato. Certo, non vorrei essere nei panni di quanti ogni giorno nelle classi italiane si impegnano per educare alla legalità. Certo, non vorrei essere nei panni di chi (come Libera) è in prima linea nella lotta alla mafia. Certo, non vorrei essere nei panni di chi, onesto, crede nella legalità come unica medicina per il Paese Italia.
Bisogna anche dire che Giuseppe Salvatore Riina ha scontato e sta scontando la sua pena (tanta o poca che sia…). Forse, anche in questo caso, possiamo dire che qualcosa non funziona nella rieducazione, ma non possiamo non permettere alle persone di ricominciare. È il prezzo di un sistema democratico. Questo episodio "triste" ci ricorda che la lotta alla cultura mafiosa richiede ancora molta strada da fare e richiede, soprattutto, l'impegno di tutti.
LUCIANO ZANARDINI
08 apr 2016 00:00