L'ultima lezione
Come motto episcopale Joseph Ratzinger scelse una citazione della Terza lettera di San Giovanni (1,8): Cooperatores veritatis (“Collaboratori della verità”). Come ha scritto padre Federico Lombardi, a lungo suo stretto collaboratore, “difficilmente si potevano trovare parole più espressive della continuità fra l’impegno di ricerca e insegnamento del teologo e quello di magistero e guida pastorale del vescovo. Ma ciò varrà anche per gli impegni successivi: uno splendido motto per una vita intera!”. Del Papa emerito Benedetto XVI è stato detto molto in queste ore. Qualcuno (“Repubblica”) l’ha definito in maniera superficiale “l’ultimo conservatore”, cercando di utilizzare, fuori contesto, le categorie della politica. Un po’, forse, è colpa di tutti di noi. Anche delle fazioni stucchevoli che si agitano nelle nostre sacrestie. Abbiamo sbagliato ogniqualvolta abbiamo dato seguito alla presunta contrapposizione tra i due Pontefici, non mettendo sufficientemente in luce la profonda stima e, per certi versi, continuità tra di loro. Mutano la formazione, gli stili e i linguaggi, ma non il contenuto. Potremmo fare un esercizio di ricerca sui testi pronunciati e scritti per ritrovare in entrambi un pensiero comune e riferimenti costanti nel magistero di San Paolo VI. Il 19 aprile del 2005 si presentò con il nome di Benedetto e come “semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore”. Così è stato.
La rinuncia al Pontificato è stata un gesto di grande umiltà, per certi versi rivoluzionario; è stata l’ennesima testimonianza di fedeltà a Cristo e alla Chiesa: “Il Signore mi chiama a salire sul monte, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in modo più adatto alla mia età e alle mie forze”. La sua ultima lezione è stata offerta di fronte alla vita: “Bisogna prepararsi alla morte. Non nel senso di compiere certi atti, ma di vivere preparandosi a superare l’ultimo esame di fronte a Dio. Ad abbandonare questo mondo e trovarsi davanti a Lui e ai santi, agli amici e ai nemici. Ad accettare la finitezza di questa vita e mettersi in cammino per giungere al cospetto di Dio. L’importante non è immaginarselo, ma vivere nella consapevolezza che tutta la vita tende a questo incontro”. (Dal libro Ultime conversazioni)