L'Ue e la finanza di guerra
Nel suo rapporto sul “Futuro della competitività europea”, Mario Draghi ha disegnato un’inedita presenza delle istituzioni europee nella Difesa, ambito di competenza prettamente statale, configurando una politica industriale del settore. Non potendo modificare i Trattati Ue per togliere agli Stati membri la competenza politica cerca di arrivarci per altra strada, quella che Draghi meglio maneggia: la finanza. In particolare la relazione dell’industria militare con la spesa pubblica, con la finanza privata e la normativa e gli strumenti europei della finanza sostenibile.
Per Draghi la spesa per la difesa in Europa è troppo bassa in rapporto agli USA e alla Cina, due superpotenze oggettivamente incomparabili, anche sul piano istituzionale con l’Europa, essendo paesi unitari. Sconcerta la crudezza con cui Draghi indica le cause di questa insufficienza: “L’assenza di domanda (cioè il lungo periodo di pace in Europa, ndr) e la pianificazione a lungo termine degli acquisti hanno privato l’industria europea della Difesa della capacità di prevedere la potenziale domanda, si è riflessa nella riduzione della capacità industriale”. Come dire, se ci fosse stata qualche guerra o qualche minaccia in più forse non saremmo a questo punto. Ma per l’ex presidente della Bce la richiesta di maggiore spesa pubblica e quindi di maggior debito pubblico di alcuni paesi deve accompagnarsi ad investimenti integrati in R&S e in collaborazione industriale transnazionale. Soldi pubblici e investimenti sottratti all’Europa sociale che pure era alla base del programma dei fondatori e di cui non vi è traccia nel rapporto di Draghi.
Ma non basta la spesa pubblica, occorre anche la finanza privata. Draghi lamenta il fatto che i criteri di esclusione o di limitazione impediscano all’industria militare di beneficiare degli strumenti finanziari della Ue e della finanza privata. Propone, quindi, di allentare le norme della concorrenza e condizioni di mercato speciali per questo settore da parte degli Stati (senza loro ingerenze nella governance) e nessuna remora etica per la finanza privata. E qui il colpo finale sui fondi ambientali e sociali (ESG) e la normativa europea sulla finanza sostenibile. Draghi chiede alla Commissione di garantire una interpretazione che consenta alle imprese militari di accedere agli strumenti finanziari soggetti alla normativa europea sulla Finanza Sostenibile. L’industria militare, dunque, fa il pieno: all’aumento della domanda (cioè le guerre) risponde con un accesso libero e facilitato a tutte le fonti di finanziamento pubbliche e private dell’Europa.