L’orientamento pastorale del Concilio
Il Concilio non si è inchinato al mondo moderno, come alcuni sostenevano, ma si è chinato sulle piaghe del mondo per prendersene cura. Questo è il vero senso dell’orientamento “pastorale” del Concilio portato a termine da papa Paolo VI
Alla morte di Giovanni XXIII (3 giugno 1963) l’interrogativo fondamentale che serpeggiava era se il nuovo Papa avrebbe dato seguito al Concilio che aveva preso avvio l’11 ottobre 1962. L’interrogativo era legittimo perché tocca al Papa convocare il Concilio e quindi il nuovo successore di San Pietro avrebbe potuto decidere di dichiarare concluso il Vaticano II, benché nessun documento fosse ancora stato emanato e il programma dei lavori stesse gradualmente prendendo forma. Alla delineazione del programma aveva offerto un contributo notevole Giovanni Battista Montini in un intervento in aula conciliare (5 dicembre 1962), nel quale proponeva di mettere al centro di tutta la riflessione il tema della Chiesa, considerata al suo interno e nella sua relazione con il mondo. Tenendo conto di questo intervento, quando l’Arcivescovo di Milano divenne Papa (21 giugno 1963) si poteva facilmente presumere che avrebbe deciso di far proseguire i lavori conciliari. In effetti il 22 giugno nel messaggio all’umanità annunciava questa intenzione: “La parte preminente del Nostro Pontificato sarà occupata dalla continuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II […]. Questa sarà l’opera principale, per cui intendiamo spendere tutte le energie che il Signore”. Per dare attuazione alla decisione il 5 luglio chiedeva una relazione al segretario del concilio, mons. Pericle Felici; e il 20 luglio al card. Cicognani, che era stato Presidente della commissione di coordinamento. Disponeva altresì che venisse cambiato il regolamento affinché apparisse meglio l’indole “pastorale” del concilio; disponeva pure che venissero invitati come uditori tredici laici. Si tratta di decisioni dalle quali traspare la volontà di imprimere un suo stile al Concilio: servizio alla Chiesa e all’umanità tutta. Nel Discorso di apertura del secondo periodo (29 settembre 1963) indicherà quali dovranno essere i temi da affrontare: precisare l’identità della Chiesa e in essa la funzione dell’episcopato; indicare vie per il rinnovamento della Chiesa e per l’unità dei cristiani. A questo riguardo merita essere ricordato il passaggio nel quale chiede perdono a Dio e ai Fratelli separati se ritenessero di essere stati offesi, e concede perdono per le offese ricevute.
Altro aspetto determinante è un nuovo atteggiamento da assumere nei confronti del mondo contemporaneo: amore, pur riconoscendo che in molti luoghi la Chiesa è perseguitata e il fenomeno dell’ateismo è dilagante. Di alto profilo le parole nelle quali descrive questo atteggiamento: “Sappia con certezza il mondo che è visto amorevolmente dalla Chiesa, che nutre per esso una sincera ammirazione ed è mossa dallo schietto proposito non di dominarlo ma di servirlo, non di disprezzarlo ma di accrescerne la dignità, non di condannarlo ma di offrirgli conforto e salvezza”. Tutti questi temi verranno sviluppati con maggiore ampiezza nell’enciclica Ecclesiam suam, che vedrà la luce il 6 agosto 1964. A conclusione del Vaticano II (7 dicembre 1965), quasi a difendere il concilio dalle accuse di essersi asservito al mondo, Paolo VI ribadirà l’atteggiamento di amore nei confronti del mondo riprendendo l’immagine del buon Samaritano: il concilio non si è inchinato al mondo moderno, come alcuni sostenevano, ma si è chinato sulle piaghe del mondo per prendersene cura. Questo è il vero senso dell’orientamento “pastorale” del concilio. Papa Montini ha sempre cercato di tenerlo vivo anche quando le discussioni in aula e fuori diventavano aspre. Al manifestarsi di queste, Paolo VI cercava le vie per far raggiungere l’unità, consapevole che la verità si scopre nel comune modo di sentire. Ciò che poteva sembrare compromesso era attuazione di un principio teologico: lo Spirito si mostra dove si crea comunione.