L'Italia globale della nuova "Giulia"
L’Italia sembra essersi davvero rimessa in movimento, la ex-Fiat oggi Fca guidata da Sergio Marchionne conduce la truppa delle industrie d’avanguardia che vanno all’assalto degli altri continenti.
Oggi stiamo parlando di un’auto su cui hanno lavorato, in segreto dentro capannoni fantasma, decine di ingegneri guidati dal tedesco Harald Wester. A lui è stato affidato il compito di portare la sfida internazionale ai più alti livelli: quelli di contrastare marchi indiscussi quali Bmw, Mercedes, Audi, come a dire il gotha delle berline di lusso. E la nuova Giulia sembra avere tutte le caratteristiche per sferrare duri colpi alle concorrenti del Paese della Merkel, puntando soprattutto al ricco mercato americano e a quelli dei paesi asiatici più affluenti. Il modello presentato ieri alla presenza del ministro dei trasporti Delrio, e sostenuto dal tweet augurale del primo ministro Renzi, vanta un motore 6 cilindri, 510 cavalli di potenza, raggiunge i 100 km all’ora in 3,9 secondi. È quasi una formula uno, carrozzata da berlina per famiglie (benestanti). Il prezzo non è ancora noto, si parla dai 40 mila euro in su, ma la ricaduta sociale sarà di tutto rilievo: puntando ai 400 mila pezzi l’anno dal 2018, dopo due anni di lancio nei cinque continenti, ne trarranno beneficio i lavoratori di Cassino, città dove verrà prodotta. Rientreranno tutti dalla cassa integrazione e, anzi, è possibile che se il mercato risponderà adeguatamente, ci siano ulteriori assunzioni.
Tutto bene, quindi, con la nuova Giulia? Dal punto di vista economico, sembra di sì: sono annunciati otto modelli, con diverse motorizzazioni, frutto di tecnologie mutuate addirittura dalla cugina Ferrari. Come dire, il meglio del meglio al mondo. Sul piano sociale, e di prospettive industriali più ampie, la Fca a guida Marchionne sta guardando molto oltre i confini nazionali, e anzi si sta proiettando sempre più verso l’America dove, dopo aver conquistato la Chrysler, ora punta a una fusione con General Motors.
La storia della famiglia Agnelli e dei loro numerosi passaggi e cambiamenti societari e di assetto delle holding di controllo del gruppo mostrano, inesorabilmente, come davvero la “globalizzazione” sia un fenomeno potente e forse irreversibile. Gli sconquassi, i cambiamenti, le chiusure di aziende obsolete sono certo un costo sociale (ed umano) a volte molto forte. Ma le ricomposizioni, alleanze, salti tecnologici che avvengono ad opera di manager internazionali grintosi e creativi sembrano portare nuova linfa per un lavoro che chiede innovazione continua. C’è da sperare, per l’Italia, che insieme al Jobs Act, anche la “Giulia” favorisca nuova occupazione e il ritorno al Paese che un tempo fu “grande” esempio di laboriosità collettiva.