L'integrazione corre veloce
Nella nostra mentalità occidentale prevale l’idea che, spiegata l’uguaglianza tra uomo e donna, sia possibile, di colpo, cambiare una cultura
Una ragazza denuncia genitori e fratello nel nome della libertà. L’impatto di una notizia dipende dagli occhiali che uno porta: chi si ostina a guardare i fatti degli immigrati con gli occhiali da sole molto scuri, si priva della possibilità di contemplare la positività di alcune situazioni e le trasforma in disprezzo e diffidenza. Una ragazza pakistana di 22 anni, frequentante la Cattolica, ha denunciato genitori e fratello che l’avrebbero minacciata di farle fare la fine di Sana Cheema, se si fosse ostinata a rifiutare il “matrimonio combinato”. I genitori negano i fatti. Sarà la giustizia italiana a trarre le conseguenze definitive. Di fronte alla denuncia ecco scattare chi si precipita a condannare la comunità pakistana, ancora legata alla svalutazione e allo svilimento della donna. In occasione della morte di Sana ho già chiesto alla comunità pakistana di far sentire la propria condanna per costrizioni del genere. Un’esplicitazione del proprio sentire non potrebbe fare che bene. Credo che sia scorretto condannare tutta la comunità pakistana. Il fatto che ci siano ragazze che denunciano i genitori per la propria libertà è un indice di grande maturità della donna pakistana.
Nella nostra mentalità occidentale prevale l’idea che, spiegata l’uguaglianza tra uomo e donna, sia possibile, di colpo, cambiare una cultura. L’immigrazione porta a una maturazione delle culture. Il problema non sussiste più in Stati come la Gran Bretagna, la Norvegia e la Danimarca dove i pakistani sono immigrati dagli anni ’80. Da noi l’immigrazione è più recente e ha bisogno ancora di tempo per maturare. Il fatto che ci sia chi ricorre alla giustizia per tutelare la loro libertà è un segno di grande, cristiano realismo: “Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” dice Gesù. Del resto le donne italiane hanno dovuto attendere la caduta del fascismo per poter votare per la prima volta nel 1946; non so quando potranno vedere la parità salariale, una donna presidente del Consiglio o della Repubblica e quando, a Dio piacendo, avere un ruolo pastorale determinante nella vita della Chiesa. Il tempo, la volontà di costruire insieme e la forza dei valori sono la vera medicina per un’autentica libertà, anche se tante volte per conquistarla c’è chi deve pagare con la vita. Se andate al Maniva, fate una deviazione fino alla Capanna “Tita Secchi”: lì una lapide testimonia che la libertà vale più della vita.