L’Espresso e le Orsoline
Si autodefinisce “inchiesta” quella uscita sull’Espresso sulla scuola delle Orsoline e, senza minimamente sforzarsi di porre almeno qualche domanda a tutti i soggetti citati, attinge acriticamente al vocabolario della più classica tradizione anticlericale male informata. Leggi l'editoriale del Responsabile diocesano per le scuole cattoliche
Si autodefinisce “inchiesta” quella uscita sull’Espresso sulla scuola delle Orsoline e, senza minimamente sforzarsi di porre almeno qualche domanda a tutti i soggetti citati, attinge acriticamente al vocabolario della più classica tradizione anticlericale male informata. Si parla di curia e di preti che sfilerebbero alle suore il controllo di scuole private con patrimoni smisurati, di guerra civile e scontri di potere interni al Vaticano e alla chiesa locale, di un Vescovo che metterebbe le mani su un bottino. In altre parole, quasi un regolamento di conti fra briganti: e nessuno, proprio nessuno, esce bene da questo racconto. Forse è utile rimettere in ordine i fatti per capire come stanno davvero le cose. Anzitutto l’Espresso scrive di scuola “privata”, quando le scuole cattoliche sono “pubbliche” fin dalla legge 62/2000 e, per la parte primaria, possono convenzionarsi ottenendo un contributo dallo Stato. La scuola S. Maria degli Angeli presentò istanza di convenzionamento a partire dal 2014, a firma del presidente della nuova Fondazione, mentre in precedenza le suore Orsoline avevano ritenuto di non accedere a tale possibilità. Non è compito della Curia occuparsi di tutto ciò, come invece sostiene il giornalista, poiché la scuola ha un proprio ente gestore, che si relaziona con il Ministero. Questo Ente è stato, fino al 2013, la Congregazione delle Religiose di S. Orsola, e, da allora fino ad oggi, la Fondazione S. Maria degli Angeli. Peraltro tale Fondazione è di diritto civile e venne istituita dalle Suore, con il sostegno della Diocesi: non è un caso che su sette consiglieri quattro fossero nominati dalle suore stesse. Come ogni Fondazione, anche questa risponde allo scopo delineato nello Statuto: promuovere e gestire al meglio la scuola cattolica S. Maria degli Angeli.
La Fondazione non è proprietaria del patrimonio delle suore, nemmeno delle superfici dedicate alla scuola, che sono concesse in comodato. La situazione, certamente, si è resa più complessa da quando le suore, a fronte dell’incedere degli anni e dell’assenza di nuove vocazioni, chiesero alla Santa Sede che venisse loro assegnato un commissario pontificio. La Santa Sede prima nominò mons. Luciano Monari, ed ora mons. Pierantonio Tremolada, con il preciso obiettivo di assicurare alle sorelle la continuità della comunità religiosa e l’assistenza, anche sanitaria, per quelle più bisognose, ed anche di dotare la scuola di una propria riserva economica per crescere. Nessuna “estromissione”. Lo conferma la continuità di una scuola che, guidata con professionalità da una dirigente scolastica e da insegnanti laici e animati da valori ben saldi, rivolge attenzione educativa per la formazione di buoni cittadini e cristiani ad oltre 500 alunni. I numeri, in questo caso, parlano, così come i bilanci che l’articolo cita: bilanci che dicono non tanto di una scuola in crisi, quanto di interventi che necessariamente sono stati effettuati, ed ancora saranno da effettuare, quelli manutentivi in un immobile antico e sottoposto a vincoli architettonici, quelli per assicurare al personale il trattamento previsto dai contratti nazionali di lavoro del settore e quelli, d’intesa con la Sede Apostolica, per portare ad evidenza la distinzione fra scuola e convento.
Non servono altri commenti, dunque, circa il tono e lo stile dell’articolo sull’Istituto Santa Maria degli Angeli, conosciuto come scuola delle Orsoline. Chi, laico o religioso e figlio della Chiesa ha pensato di coinvolgere su temi tanto delicati la stampa scandalistica risponderà alla propria coscienza, vedendo quanto prodotto e, se avrà responsabilità professionali e penali, avrà forse occasione per via legale di proseguire il confronto. Lo sgradevole episodio giornalistico di questi giorni è però anche occasione per una riflessione sul destino e significato di scuole cattoliche nate dallo slancio profetico di congregazioni religiose. Chi raccoglie il testimone di quell’opera di misericordia spirituale che è l’educazione? Con quali strumenti? Come realizzare fra le scuole cattoliche (la parola stessa dice che devono essere “aperte e per tutti”!) una rete di reciproco aiuto, perché possano affrontare sfide educative e gestionali impegnative, quali il calo demografico, le mutate domande delle famiglie, una qualità della proposta che non può pesare economicamente solo sui genitori? E, soprattutto, come superare una cultura ottocentesca, ancora presente in Italia, che contrappone “pubblico” a “privato”, promuovendo invece una scuola plurale, autonoma, un sistema non uniforme e perciò di qualità? La scuola cattolica bresciana è già, oggi, plurale. Congregazioni religiose, parrocchie, fondazioni, cooperative, associazioni, laici, presbiteri e religiosi insieme gestiscono istituzioni che, dall’infanzia alle superiori, accolgono più di trentamila alunni. E forse infine è bene ricordare a chi scrive articoli faziosi che ogni scuola, dello Stato o del privato sociale, ogni giorno fa i conti con la propria sostenibilità economica. Venga pure a vedere, nelle prossime settimane, dedicate agli open day, per incontrare nuovi iscritti. Ci farà solo piacere.