L'eredità di don Milani
Nelle ultime settimane si è molto parlato del voto cattolico. A volte anche in maniera strumentale. I cattolici non sono un monolite. Non si collocano in unico partito o in un’unica coalizione. Hanno, però, ancora molto da dire o, sarebbe meglio, da testimoniare? Penso di sì. C’è una lunga storia dalla quale attingere non per riproporre modelli del passato ma per cercare di leggere il presente. C’è una lunga schiera di persone che hanno lasciato in eredità la loro parola, i loro scritti e, soprattutto, il loro esempio. Uno di questi è senza dubbio don Lorenzo Milani (1923-1967).
Il 27 maggio, nel centenario della nascita del priore, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà in visita a Barbiana. Con lui ci sarà anche il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi. Don Milani è partito dall’educazione per cercare di cambiare la società. La scuola è stata il suo campo d’azione della pastorale. Ha semplicemente individuato il legame profondo tra la vita, i problemi sociali e le nozioni apprese in aula. Sfruttamento, ingiustizia, indifferenza e disuguaglianza sono alcune delle tematiche ancora oggi molto attuali sulle quali i cattolici, se non fossero relegati nelle panchine dei rispettivi partiti, potrebbero incidere.
Non è il tempo dei compromessi al ribasso, perché in gioco ci sono spesso valori fondamentali come l’accoglienza di chi arriva da lontano e della vita stessa (dall’inizio, dal concepimento, alla fine). La scuola e l’educazione sono il banco di prova di un Paese che vuole crescere e che non vuole lasciare indietro nessuno. Sappiamo, però, che non è sempre così. Ci sono alcuni gradi scolastici (si pensi alle vecchie scuole medie) che hanno bisogno di essere ripensati vista anche la complessità della stagione preadolescenziale. Ci sono docenti che vanno supportati, stimolati e aiutati a recuperare quell’autorevolezza perduta. Don Milani si interrogava anche sulla maturità religiosa del popolo di Dio. Aveva ben chiaro che la cultura religiosa degli adulti del nostro popolo fosse “praticamente nulla”. Nonostante le “700 ore di insegnamento religioso” ricevute, “considerando la preparazione alla comunione, alla cresima e le lezioni alla scuola elementare”. Milani metteva sotto accusa anche il sistema degli oratori che facevano giocare i ragazzi, ma non sapevano suscitare le domande. Sessant’anni dopo siamo davanti agli stessi interrogativi, ma gli strumenti per provare a rispondere non mancano. È il tempo della testimonianza. Ognuno nel proprio ambito.