L'applicazione non ci salva
Fa discutere la petizione indirizzata al Governo da parte di illustri pedagogisti, insieme ad altri personaggi, anche del mondo dello spettacolo, per vietare l’uso dello smartphone fino ai 14 anni con l’impossibilità di aprire una pagina social fino ai 16 anni. Per prima cosa, mi fa molto piacere che si discuta di cose educative: fa bene a tutti e alza il livello del dibattito pubblico (cosa non difficile, per la verità).
Sommessamente riporto la mia esperienza, forse più interessante del mio pensiero: come fanno in tanti (se non tutti), quando si fanno i campi scuola si ritirano i cellulari dei ragazzi. Non ho mai avuto problemi a farlo, nel senso che i ragazzi non hanno mai avuto la nostalgia del cellulare se si sta facendo qualcosa di bello insieme. Da qui mi viene l’obiezione: non mi dà particolare entusiasmo un divieto, anche se condivido la preoccupazione da cui nasce. Non mi fa problema il cellulare che c’è, ma la vita che non c’è, intesa come l’insieme delle proposte concrete che permettono a una persona di crescere, di innamorarsi del futuro, di prendersi in mano, di costruire qualcosa insieme. Di questo siamo poveri, poverissimi. Di questo si nutre, al contrario, la cultura del vuoto riempita con le cose; ma non c’è app che ci possa salvare.