L'anno che verrà è arrivato
Dal 2019, un anno di vita e storia umana ormai passato e da custodire nella memoria, siamo entrati in un 2020 che sa di presente e di futuro e su cui ancora possiamo investire “per continuare a sperare”
“Vedi, caro amico, cosa si deve inventare, per poter riderci sopra, per continuare a sperare”. Cantava così Lucio Dalla, 40 anni fa, ne “L’anno che verrà”, la canzone che ancora una volta ha fatto da colonna sonora nel passaggio tra l’anno vecchio e questo 2020 appena nato. Dal 2019, un anno di vita e storia umana ormai passato e da custodire nella memoria, siamo entrati in un 2020 che sa di presente e di futuro e su cui ancora possiamo investire “per continuare a sperare”. E il richiamo alla speranza che vince le paure è stato quasi un filo rosso in questo ultimo scorcio dell’anno. Il vescovo Pierantonio, in particolare, ne ha fatto un ritornello con cui ha punteggiato le strofe di una serie di recenti interventi pubblici: dal discorso alla città per i Ceri e le Rose agli auguri ai bresciani in occasione del le Festività, dalla Messa di Natale fino al Te Deum di fine anno. Parole chiare per denunciare come stia “crescendo nella nostra società il livello dell’ansia, di un’incertezza diffusa che dipende in buona parte dalla maggiore fatica a dominare la paura, ma anche dall’intenzionale e grave tendenza a fomentarla” e, al tempo stesso, ridare vigore alla speranza. Essa, infatti, “è la virtù che chiama in causa il futuro, ma attinge all’esperienza del presente e, tramite la memoria, affonda le sue radici nel passato”. Ma ancora cantava Lucio Dalla: “E se quest’anno poi passasse in un istante. Vedi amico mio, come diventa importante, che in questo istante ci sia anch’io”. Già il tempo che scorre, che se ne va a una velocità vorticosa. Era ieri l’anno 2000 e siamo già entrati negli anni venti di questo primo secolo del terzo millennio cristiano. Un tempo pieno di istanti unici. Istanti in cui esserci, da protagonisti e non da spettatori, da uomini e da cristiani. Anche il 2020 deve essere un tempo utile “non per conquistare spazi”, ma, come ha ricordato ancora qualche giorno fa il Papa alla curia romana, per “avviare processi”. “Dio – ha detto Francesco – si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso.
Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa. Da ciò siamo sollecitati a leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questo cambiamento risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi». E ancora papa Francesco ha sottolineato: “È doveroso valorizzarne la storia per costruire un futuro che abbia basi solide, che abbia radici e perciò possa essere fecondo. Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo. La memoria non è statica, è dinamica. Implica per sua natura movimento. E la tradizione non è statica, è dinamica, come diceva quel grande uomo: la tradizione è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri”. Come operare? come avviare in questo tempo processi di speranza? Le tre vie che Tremolada ci ha consegnato nell’omelia di “Ceri e Rose” ci interpellano come Chiesa e società bresciana. “La prima è quella del pensiero e della cultura... La seconda è quella delle relazione interpersonale con le sue diverse forme: rispetto, accoglienza. La terza linea è quella del recupero della centralità della coscienza, cui è connessa la dimensione etica del vivere”. Pensiero, relazione, coscienza. Una triade che è un mandato e una griglia attraverso cui far passare non solo i nostri comportamenti personali, ma anche le nostre parassi comunitarie ed ecclesiali.“ L’anno che sta arrivando tra un anno passerà. Io mi sto preparando. È questa la novità”. Forse c’è un che di arrendevole tristezza, di malinconia, di ineluttabile consapevolezza e disillusione nel finale della canzone di Dalla. Il credente, visitato anche in questo Natale dall’amore di Dio, sa che la storia non è solo in mano sua, ma lo Spirito Santo ispira il cammino. Questa è la novità cristiana che nell’anno nuovo dobbiamo continuare a raccontare. (a.b)