Jobs Act al vaglio della Dottrina sociale
È del tutto evidente che sulle scelte che riguardano il lavoro e le sue forme, si è giocata una grande partita politica, più all’interno della sinistra italiana che sull’altro fronte.
Lungi da noi la tentazione di dare pagelle a questo o quel ministro o governo, a questa o a quella maggioranza e/o minoranza, piuttosto ci sta a cuore individuare un metodo con il quale “leggere”, “interpretare” e “verificare” le riforme così come si vanno dipanando attraverso il lavorio parlamentare e la mediazione politica. Ci sembra questa la scelta più giusta per non essere arruolati da nessuna parte politica, per conservare la nostra autonomia intellettuale e magari la nostra libertà di giudizio. E già doverlo sottolineare vuol dire che avvertiamo nell’aria tanto conformismo come tanta pretestuosa avversione preconcetta. Conformismo e avversione, figli entrambi di un riflesso politico sociale che il Paese non riesce a scrollarsi di dosso.
Allora cogliamo l’occasione dell’approvazione dei decreti attuativi del Jobs Act per chiarire come valuteremo le riforme: le sottoporremo, facendoci ovviamente aiutare da chi nel mondo cattolico è certamente più esperto di noi, al vaglio della Dottrina sociale della Chiesa. Un buon criterio che evidenzierà luci e ombre, senza pregiudizio alcuno.
E per non sbagliare, ricordiamo a tutti, e a noi per primi, il concetto di Bene comune che è principio cardine della Dottrina sociale della Chiesa: “Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro”.