Ius Scholae
“Non faccio più che lingua e lingue. La parola è la chiave che apre ogni porta”. Don Lorenzo Milani, nelle sue Lettere descriveva la Barbiana degli anni ’60 come scuola di cittadinanza attiva: acquisendo il possesso della lingua, i giovani figli di poveri contadini divenivano cittadini, orientavano le loro scelte per la vita, comprendevano le regole dell’economia, della politica, del mondo. Oggi, in una società resasi ancora più complessa, a maggior ragione le chiavi per aprire le porte si chiamano conoscenze e cultura. Le scuole, statali e paritarie, dall’infanzia alla formazione professionale o ai tecnici e licei, sono palestre di cittadinanza e potente fattore di integrazione.
A partire da questo dato di esperienza si può leggere la recente approvazione avvenuta nella Commissione Affari Costituzionali della Camera di un testo base, ora aperto agli emendamenti, con titolo “Nuove norme sulla cittadinanza”. Il cosiddetto “Ius scholae” vincola il riconoscimento della cittadinanza per i minori di origine straniera nati in Italia (o comunque entrati nel nostro Paese prima dei 12 anni) a un percorso scolastico di almeno cinque anni. La scuola, forse più dell’opinione pubblica, riconosce che una molteplicità di culture e di lingue la caratterizza. Già nel 2012, con le Indicazioni per il curricolo, si individuava l’intercultura come modello “che permette a tutti i bambini e ragazzi il riconoscimento reciproco e dell’identità di ciascuno”, evidenziando – e sembrano ancora parole di don Milani – che “a centocinquanta anni dall’Unità, l’Italiano è diventata la lingua comune di chi nasce e cresce in Italia al di là della cittadinanza italiana o straniera…".
Nelle scuole si promuove “una cittadinanza coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazionale, ma che può essere alimentata da una varietà di espressioni ed esperienze personali molto più ricca che in passato”. Una nuova cittadinanza sta dunque crescendo nelle scuole. Contribuiscono ad alimentarla anche le proposte di educazione civica (L. 92/2019), articolate nella conoscenza della Costituzione e degli organismi internazionali, nelle tematiche legate alla pace, allo sviluppo sostenibile, alla cittadinanza digitale. Potrebbero concorrere ad una cittadinanza piena anche i patti di corresponsabilità educativa tra scuola, genitori e territorio, se riuscissero (questo almeno è l’intento) a coinvolgere le famiglie. Di certo la cittadinanza dei nuovi italiani si forma nella relazione quotidiana fra compagni di classe e con i docenti, nella didattica che è fatta proprio di lingua e lingue, di scienza e scienze, di storia e storie, di religione e religioni, di approccio alla scoperta dell’umano.