Insieme nel digitale
È sbagliato respingere a priori questa rivoluzione, ma è altrettanto errato prenderla come un “progresso” scontato. Ecco perché, nel mutare delle situazioni, è necessario che le generazioni continuino a parlarsi, ciascuna tenendo il ruolo che le compete perché il livellamento delle differenze tra genitori e figli è una costruzione demagogica della democrazia
Quando ho qualche problema con il computer oppure con il cellulare, so già in partenza che, se mi rivolgo ai figli, è altamente probabile che sappiano risolverlo. Non credo di essere l’unico a fare questa esperienza che vale come descrittore della differenza che passa tra i “nativi digitali” (i figli) e gli “immigrati digitali” (i genitori). Senza dubbio la digitalizzazione costituisce un’opportunità per quanto concerne la facilitazione delle comunicazioni e – più in generale – della capacità relazionale. È avvenuta in poco tempo (ecco perché si tratta di una “rivoluzione”) e ha modificato radicalmente gli stili relazionali. Ma – come sempre accade – le medaglie hanno due facce: l’altra, in questo caso, è costituita dalla banalizzazione. La semplificazione comunicativa, infatti, condiziona i contenuti. Accade così, ad esempio, che il “like” sostituisca l’assenso con una differenza di fondo: generalmente, non postula l’argomentazione della presa di posizione per il semplice fatto che, mentre si moltiplicano i contatti, il tempo rimane sempre lo stesso, quindi se ne può dedicare meno al vaglio delle questioni.
È sbagliato respingere a priori questa rivoluzione, ma è altrettanto errato prenderla come un “progresso” scontato, tanto più oggi quando andiamo maturando – soprattutto a margine degli sviluppi sociali – il riconoscimento del fatto che il progresso è solo una sovrastruttura culturale, cioè dipende più dalla propaganda che dalla realtà fattuale. Occorre quindi avere l’accortezza di riconoscere – nella situazione concreta – sia le opportunità che i rischi, i guadagni insieme alle perdite. Per questa ragione, nel confronto tra generazioni, è essenziale che si mantenga – anzi, che si incrementi – la comunicazione intergenerazionale. I “nativi” sanno insegnare, ma possono anche imparare, e la stessa cosa vale per gli “immigrati”, ma all’inverso. L’importante è saper riconoscere l’essenziale che – come afferma una celebre espressione del “Piccolo principe” – “sfugge agli occhi”, nel senso che va al di là di quello che occupa vistosamente e chiassosamente la scena.
Ecco perché, nel mutare delle situazioni, è necessario che le generazioni continuino a parlarsi, ciascuna tenendo il ruolo che le compete perché il livellamento delle differenze tra genitori e figli, che viene talvolta spacciato come una conquista democratica, è – in realtà – una costruzione demagogica, cioè una degenerazione – non uno sviluppo – della democrazia.