Informazione o disinformazione?
C’è un’informazione che finge di dare notizie e mira solo a far parlare di sé o ad avvalorare tesi precostituite e preconfezionate. Il caso di Report, programma di giornalismo d’inchiesta che, orfano ormai della Gabanelli, questa settimana è finito nella bufera per un servizio sul tema dei vaccini
C’è un’informazione che finge di dare notizie e mira solo a far parlare di sé o ad avvalorare tesi precostituite e preconfezionate. L’ultimo caso nazionale è quello di Report. Programma di giornalismo d’inchiesta che, orfano ormai della Gabanelli, anche questa settimana è finito nella bufera per un servizio sul tema dei vaccini che ha scatenato da un lato il panico di molti cittadini e dall’altro la ferma reazione della comunità scientifica e del Ministero della salute. Servizio di vera informazione o disservizio e disinformazione? Tecnicamente quelli di Report sono proprio bravi. Sanno confezionare un prodotto televisivo ineccepibile che dà tutta l’impressione di essere assolutamente documentato e verificato. Vero? La percezione è quella di assoluta credibilità. Verosimile? Più probabile per chi conosce almeno un po’ il modo di procedere di certo giornalismo di denuncia o d’inchiesta. Vi racconto come qualche settimana fa sono stato contattato da Report. Il giornalista che mi telefona cerca l’economo diocesano e il direttore dell’ufficio amministrativo. Come sempre si fa, dovendo l’Ufficio per le comunicazioni sociali coordinare i rapporti tra la curia e i media, chiedo perché siano oggetto del loro interesse. Hanno sentito alcune altre diocesi e poi i temi sono vari: situazione economica, partecipazione bancarie, bilanci delle parrocchie.
Niente da nascondere. Chiedo le domande in maniera previa: non si sa mai... c’è di mezzo la Rai. I nostri direttori vengono intervistati. Delle domande concordate quasi nessuna traccia. Amen. Il problema è che sullo sfondo è chiaro il sospetto (fondato e poi verificato) che altri fossero gli interessi di quelle interviste. Prova del nove? Il giorno dopo l’intervista, don Girelli viene ricontattato da Report per ottenere da lui un’intervista “meno ingessata e blindata”. Naturalmente non concessa. Che non abbiano ottenuto da noi quello che si aspettavano? E sì che i bresciani sono stati intervistati per un’ora abbondante ciascuno... Naturalmente abbiamo registrato integralmente tutto. Cosa uscirà su Report di noi? Prossimamente sui vostri schermi lo vedrete. Spero di sbagliarmi, ma non credo che l’esito sarà il racconto trasparente dell’impegno economico e amministrativo della Chiesa bresciana. Ho la percezione che la tesi esposta, viziata in partenza e in arrivo, sarà di tutt’altro genere. Nel nostro caso l’inchiesta di Report non metterà a rischio la salute dei cittadini, ma un giornalismo che sembra miri solo a minare la reputazione e la buona fama della gente non credo che faccia bene e faccia, comunque, crescere il Paese. Questo dovrebbe indurre tutti, più decisamente, alla vigilanza e alla scelta più oculata degli strumenti con cui ci informiamo.
Imparare a scegliere trasmissioni o giornali che ci informano con professionalità e correttezza, che non cercano lo scoop e il gossip a ogni costo, è una responsabilità morale e civile. C’è nel giornalismo anche chi informa, denuncia e approfondisce i temi, magari anche in modo scomodo, ma sempre nel rispetto della dignità delle persone e del corretto funzionamento democratico della società. Perché non premiare questa informazione con il nostro contributo anche a Brescia? Siamo chiari. Abbiamo un settimanale diocesano che, pur con tanti i limiti, cerca di fare questo servizio alla comunità bresciana, ma non sono pochi, ormai, quelli che comprano nuovi settimanali, che hanno invaso il territorio bresciano dalla Valcamonica a Chiari, da Manerbio a Montichiari, giornali in cui il gossip parrocchiale è diventato l’argomento dominante. Chi li compra pensa che questo modo di informare stia rendendo migliore le loro comunità, i loro paesi, le parrocchie? Alla nostra gente, ai nostri parrocchiani forse va detto con coraggio che certo giornalismo è spazzatura, cartaceo, digitale o televisivo che sia. Certo è che se basta qualche bella foto del nipotino, del gruppo dell’oratorio o dell’associazione per farsi “comprare” allora siamo fritti. Forse tornare a chiedere a chi ci informa di non imbrogliarci e di farci pensare sarebbe più opportuno.