In Catalogna il ritorno dei nazionalismi
Di fronte agli ultimi eventi in Catalogna, sarebbe utile tornare all’insegnamento della Chiesa. In un discorso del 24 dicembre 1930 Papa Pio XI definì il nazionalismo “egoistico e duro”
Di fronte agli ultimi eventi in Catalogna, sarebbe utile tornare all’insegnamento della Chiesa. In un discorso del 24 dicembre 1930 Papa Pio XI definì il nazionalismo “egoistico e duro”, come “odio e invidia in luogo del mutuo desiderio di bene, diffidenza e sospetto in luogo di fraterna fiducia, concorrenza e lotta in luogo di concorde cooperazione, ambizione di egemonia e di predominio in luogo del rispetto e della tutela di tutti i diritti, siano pur quelli dei deboli e dei piccoli”.
Queste parole sono purtroppo di grande attualità. Oggi, in un contesto di “Pax europea”, sorge una crisi difficile da capire per un cittadino europeo che prova ad avere una visione razionale. La Catalogna è una regione prospera, che gode di una autonomia amministrativa, politica, culturale quasi completa nel contesto dello Stato spagnolo, nel quadro di una democrazia perfettamente rispettosa dei diritti umani e che mira all’integrazione nell’Europa. La Catalogna può così costruire un rapporto diretto di cooperazione con grandi regioni europee come Auvergne-Rhône-Alpes, Lombardia e Baden-Wurttemberg; sono i cosiddetti “quattro motori dell’Europa”. Però oggi in Europa il nazionalismo “egoistico e duro” non riguarda solo gli Stati (si veda il risultato delle elezioni in Austria), ma anche alcune regioni. La Catalogna illustra bene le parole di Pio XI; la crisi attuale è il frutto di un odio accumulato durante secoli, che nutre la diffidenza e il sospetto, con l’incapacità di vivere, nel mondo attuale, e di superare un passato che è passato, ma che alcuni non vogliono che passi. A Barcellona si parla della presa della città da parte del re Filippo V nel 1713, come se fosse successo l’anno scorso. La crisi è il frutto di una manipolazione della storia. È anche il frutto dell’egoismo che rifiuta la cooperazione con le altre regioni spagnole meno benestanti, che respinge la solidarietà economica e fiscale con i più deboli. È il frutto di un sentimento culturale e politico che fa ritenere ai catalani di essere superiori rispetto ad altri; fa pensare di non avere alcun bisogno degli “altri”… Fino a rinunciare alla lingua spagnola. La questione catalana è anche la questione spagnola. Al nazionalismo catalano, come al nazionalismo basco, si oppone un nazionalismo castigliano con una vera “guerra” delle bandiere nazionali, dove la bandiera europea con le sue stelle è pesantemente assente. Il problema che si pone all’Europa dipende dal fatto che il caso catalano non è isolato. Altre provincie o regioni tra le più ricche nel Vecchio Continente sono chiamate dai populisti a una eguale chiusura o isolamento per “proteggersi” dall’Europa e dal principio di solidarietà tra le regioni, erigendo frontiere, e se non bastano, dei muri. Tutta la storia dell’umanità insegna che il nazionalismo conduce all’odio e alla guerra. Anche recentemente: la dissoluzione della Yugoslavia dovrebbe farci riflettere. La passione può sempre vincere sulla ragione. Ottant’anni dopo l’inizio della guerra civile spagnola, gli spagnoli e i catalani dovrebbero ricordarsene.
Nel 1995, Giovanni Paolo II aveva esposto all’Onu l’idea di una Carta delle nazioni e aveva invitato ogni Paese ad “accogliere l’identità del suo vicino”. Per il Pontefice si trattava di un vero dovere, conforme al diritto naturale e al bene comune, condizione per evitare “quelle manifestazioni patologiche che si verificano quando il senso di appartenenza assume toni di autoesaltazione e di esclusione della diversità, sviluppandosi in forme nazionalistiche, razzistiche e xenofobe” (messaggio per la pace, 1° gennaio 2001). La situazione è diventata estremamente pericolosa. Bisogna urgentemente ricucire il tessuto del dialogo.