Impresa e reciprocità
Che senso ha parlare di reciprocità in economia, e dunque nelle nostre imprese? A cosa facciamo riferimento, pensando alle logiche organizzative ed alle dinamiche di mercato in cui si muovono le nostre imprese? La nostra storia arriva in soccorso, ricordandoci che reciprocare porta con sé ciò che sta innanzi e ciò che sta dietro, ciò che va e che torna vicendevolmente, in una relazione mutua. E la reciprocità è, in primis, una categoria, una norma sociale che riguarda gli uomini e la vita civile di noi tutti.
Entra come tema in economia con la riscoperta negli ultimi decenni dell’economia cognitiva (Behavioral Economics), dice il Prof. Bruni, ma affonda in radici molto lontane, negli scritti di A. Genovesi (1713-1716) il quale, allargando il concetto di economia dall’amministrazione privata all’economia nazionale governata da leggi che ne dovrebbero aumentare la ricchezza, ricorda che “l’uomo è un animale naturalmente socievole” per il quale esiste “il reciproco diritto di esser soccorsi “, rilevando dunque che la reciprocità, o “mutua assistenza” è legge della società civile e dell’economia. Le relazioni di scambio di mercato si strutturano su due elementi: un “cosa”, un oggetto di scambio, ed un “come”, cioè il mezzo ed anche la postura, il punto angolare dello sguardo nella relazione di scambio.
Se nella scienza economica classica l’oggetto di scambio (bene pubblico o privato) è normalmente normato da un contratto tra le due parti, nell’ottica di impresa civile esistono altre categorie di beni, i beni relazionali di cui abbiamo parlato nel precedente editoriale, ed i beni comuni, intangibili, che richiedono una dimensione di reciprocità rispetto cui anche l’intenzione delle nostre azioni e non solo le azioni hanno un peso. Di fatto nelle nostre imprese non è sufficiente capire cosa regolamentiamo in un rapporto di scambio, nei contratti che sigliamo con i fornitori, con i nostri interlocutori sul territorio o con i nostri dipendenti, ma serve anche intercettare motivazione e relazione, perché le imprese sono comunità organizzate di uomini, unici animali capaci di attribuire e leggere un senso alle azioni proprie e degli altri.
Regolamentare lo scambio di beni relazionali in un contratto è innaturale, perché significa chiedere di inserire le proprie motivazioni e la relazione in vincoli ed elementi formali. Si innesca così la dimensione della reciprocità, che prescinde da un contratto. Siamo disposti a introdurre logica di pensiero civile nelle nostre imprese e cogliere la sfida posta dal Prof Zamagni quando parla di “economia come cantiere di reciprocità?”.