Impresa e dialogo
Rimango sempre stupita dalla potenza, enorme, della parola, ingrediente importante delle relazioni tra le persone, vissuta e agita in tutti i più svariati e differenti luoghi di vita in cui noi tutti, istintivamente e naturalmente, ci confrontiamo. Se solo fosse noto a ognuno che il nostro patrimonio genetico differisce da quello degli scimpanzè per il 2% e che tale differenza è riconducibile al linguaggio, credo che ad ognuno sarebbe più chiara la forza della parola stessa, la quale trova radici buone e produttive nel dialogo. Gli scimpanzè comunicano mentre gli uomini parlano e, parlando, veicolano un pensiero, cui danno espressione e manifestazione compiuta. Una piccola e minuta percentuale che fa una grande, enorme differenza. Saper gestire tale 2% rendendolo fruttuoso è una partita vincente nei rapporti e nelle relazioni tra le persone in una dimensione di vita civile, e certamente lo è anche nelle imprese, comunità organizzate di uomini tese al raggiungimento di tutti gli obiettivi imprenditoriali che l’impresa stessa si è data.
Mi pare onestamente faccenda importante cui dare attenzione. E se non si gestisce al meglio la parola come leva positiva del e nel dialogo, quali sono gli impatti che ne scaturiscono negli assetts interni alla nostra organizzazione, sino infine alla comunicazione, interna e anche esterna alle nostre imprese? Se il bene imprenditoriale, in qualunque forma sia definito, è il bene ultimo verso cui tutti devono tendere, come la mettiamo se non ci capiamo e non ci allineiamo sulla comprensione che deriva dal linguaggio e dai pensieri che esprimiamo, i quali impattano, conseguentemente poi, su ciò che come imprese facciamo? Il dialogo si basa su un semplice presupposto: qualcuno ascolta e qualcuno parla. Ed ascoltare non è sinonimo di sentire: è accettare l’altro, nella relazione, anche internamente alle imprese, in una posizione di rispetto in cui la diversità di opinione o idea è fattore di confronto e crescita della nostra impresa. Certo, ci si deve allenare, ogni giorno. È un ascoltare attivo, generativo e non giudicante, piuttosto arricchente, di punti di osservazione e sfumature che potremmo non cogliere e che potrebbero influire sull’esito positivo delle nostre azioni imprenditoriali. E il parlare che ne consegue è speculare alle caratteristiche dell’ascolto: se si è ascoltati, si genera libertà nel parlare. Nella complessità dell’oggi la postura nel dialogo intra ed extra aziendale, ponte inoltre di collegamento con territorio e stakeholders, credo sia un vero assett strategico da presidiare nelle funzioni aziendali. Secondo voi?