Impresa e cura
”La città che cura deve costruire progetti che aiutino la crescita di una convivenza di attenzioni reciproche”. È questa una delle frasi dell’editoriale del professor Marco Trabucchi, recentemente uscito, che ho letto con grande interesse e rinnovata curiosità nel testo dal titolo “La città e la cura”. Se pensiamo alla città, nella formulazione espressa, la intendiamo come polis greca o civitas romana?
Mi piace pensare alla città come civitas, cogliendo anche la riflessione del professor Zamagni affinché le nostre città ritornino ad essere “città delle anime”, fatte da persone che, vivendo in un determinato territorio, sono in grado di stabilire legami, relazioni, i cosiddetti beni relazionali dell’economia civile. Ma non basta, a mio avviso: l’invito nell’editoriale citato è alla cura come stile, come postura per avere “città vive, curiose, attente, generose”.
Questo vale anche nelle relazioni economiche, nel mondo imprenditoriale nostro se è vero, come abbiamo più volte detto, che le imprese sono comunità organizzate di persone, le medesime persone che fanno e danno forma alla civitas. Le nostre imprese sono una espressione della città ed in quanto tali possono diventare espressione della cura come stile. Ma cura di cosa? Cura della propria mission, della propria vision, dei propri obiettivi imprenditoriali, delle persone che sono motore della vita imprenditoriale, del territorio, dell’ambiente, degli stakeholders con cui si interfacciano quotidianamente. Una cura che esce dall’autoreferenzialità e dall’asettico perimetro dei numeri, degli indicatori economici e di performance, dei modelli organizzativi e si apre alla civitas tutta con l’ambizione di partecipare, anche il mondo imprenditoriale, alla costruzione di “comunità solidali”.
A queste ha fatto riferimento papa Francesco nel discorso di consegna del Premio Paolo VI al Presidente della Repubblica Mattarella nel 2023. Ha scritto il Santo Padre che “stavano per San Paolo VI alla base della costruzione della vita sociale il senso di responsabilità e lo spirito di servizio”, dimensioni che io riconduco appieno alla postura nella dimensione di cura. E le imprese hanno ora la possibilità di esser attori e partecipi di questo progetto, agendo una piena responsabilità d’impresa, sociale ma ancor meglio civile. Ed è uno snodo delicato, perché mediante ciò anche le imprese, nel pieno rispetto dei propri obiettivi imprenditoriali da traguardare, partecipano al raggiungimento di un bene comune più ampio, di cui la civitas tutta, ed in essa le imprese, beneficia. Mi pare una sfida ambiziosa e necessaria. A Voi?