Imparare le emozioni
Francesca ha un esercito di relazioni fallite alle spalle; dice che non riesce a farle funzionare: c’è la prima fase idilliaca, poi comincia a sentire che non c’è più quell’entusiasmo di prima, quelle emozioni forti, quella attrazione per cui tutto ebbe inizio. E allora, per lei, significa che non è l’uomo giusto, che l’uomo giusto sarà un altro.
Però Francesca si interroga. A lei sembra di non conoscere il linguaggio delle emozioni. Cosa intenda di preciso, non lo sa spiegare bene. Afferma che i suoi genitori le hanno insegnato come comportarsi, le regole del vivere sociale, cosa deve e non deve fare…ma ciò che sta sotto il comportamento, ciò che è interno, ciò che lo sottende, no. Le sembra di essere un’analfabeta delle emozioni. Come se ignorasse un codice che forse l’aiuterebbe a vivere con più competenza le relazioni, ad interagire meglio con gli altri. I genitori di Francesca si sono preoccupati poco (quasi sicuramente del tutto inconsapevolmente) di conoscere i suoi vissuti.
Francesca ricorre spesso anche alle bugie per non esprimere ciò che veramente prova come se ciò che prova non fosse dignitoso, quasi dovesse vergognarsene. Ma dei sentimenti e delle emozioni non ci si può vergognare: non c’è che da prenderne atto, non sono né ingiusti, né cattivi, semplicemente sono, esistono. E non si può sentirsi colpevoli di ciò che si prova, perché non è intenzionale. Le emozioni devono essere legittimate, hanno bisogno di essere legittimate, fin da piccoli.
Quante volte i genitori fanno ramanzine o reprimende invece di interessarsi a ciò che sta provando, ha dentro, vive, il proprio figlio? Quante poche volte gli viene chiesto: “Come ti senti?...Cosa provi?...Come ti fa stare questa cosa?... Sei arrabbiato?... Sei preoccupato?... Ti senti in ansia?... Stai male?... Hai paura?...”. E lo si ascolta, si accoglie ciò che dice, senza giudizio. Perché i vissuti non vanno giudicati. Allora il figlio viene “educato” ai sentimenti, alle emozioni. Impara ad esprimere ciò che ha dentro, che vive, nell’autenticità. Perché qualsiasi cosa dica va bene, è giusta, nel senso che è la propria realtà e come tale è vera perché soggettiva. Il figlio impara che ciò che esprime ha un valore a prescindere, che lui stesso è un valore a prescindere, è sacro e degno di rispetto. Anche di fronte a una paura sortisce scarso effetto rassicurare, incoraggiare, sminuire l’oggetto della paura; è più utile permettere al figlio di esprimere la propria paura, anche se illogica. Ma nel campo delle emozioni, la logica non esiste. “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”, come disse Pascal.