Il voto di Treviso Bresciano
Se passasse l’ipotesi che Treviso Bresciano debba gestire in proprio il futuro di sei richiedenti asilo, alla fine la gente della comunità non gli aprirà casa per offrirgli un piatto di minestra calda?
Siamo sicuri che dopo aver detto “no” nella consultazione popolare allo “Sprar di valle” proposta dalla Prefettura, se passasse l’ipotesi che Treviso Bresciano debba gestire in proprio il futuro di sei richiedenti asilo, alla fine la gente della comunità non gli aprirà casa per offrirgli un piatto di minestra calda? Perché poi, noi bresciani alla fine in fatto di generosità siamo fatti così: al lupo al lupo ma poi il lupo (se solo merita) diventa amico. È già successo e succederà ancora, ma il no della consultazione popolare con cui si sono opposti al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (in breve Sprar), che aggiungerebbe 50 richiedenti ai 170 già presenti, qualche riflessione la pone: prima fra tutte quella su che diritto abbiamo di dire sì o no sul futuro di una persona. La seconda, invece, è di carattere urbanistico: possibile non ci siano una casa o due stanze per questi sei rifugiati?
La terza: il no arriva dai numeri; su 500 aventi diritto al voto, si sono presentati in 114 e di questi 68 si sono opposti all’ipotesi prevista dal sistema. Diciamo il 13,6% degli aventi diritto al voto. Lo Sprar della Valle Sabbia prevedeva l’assegnazione ai comuni delle dimensioni di Treviso Bresciano la facoltà di una gestione locale del territorio municipale dei sei richiedenti asilo, possibilità accompagnata da una clausola di garanzia che, in caso di adesione, impediva la presenza sullo stesso territorio di un centro accoglienza straordinaria (Cas) analogo a quello di Anfo; lo stesso Sprar contemplava una distribuzione di sei rifugiati per i comuni (come Treviso) sotto i duemila abitanti, 11 per Bagolino e Sabbio Chiese, 12 per Roè Volciano e Vallio Terme, 16 per Villanuova, 22 per Vobarno e 33 per Gavardo. Prima di Treviso e prima che la proposta del Prefetto Valenti venisse presentata in un incontro a Nozza, un no senza condizioni era giunto dalle amministrazioni di Agnosine, Gavardo, Vallio e Vestone, tutte a guida Lega Nord. Insomma, parafrasando Mao, sempre più “grande è la confusione sotto il cielo” attorno al problema delle migrazioni ed al conseguente problema di come vanno governate.
Detto questo guardiamoci indietro: c’è chi dice no, c’è chi innalza i muri, chi tende fili spinati e chi alle migrazioni ha dedicato un museo come a Buenos Aires. Dal Museo delle Migrazioni bairense sono passati la maggior parte degli emigranti arrivati a Buenos Aires tra il 1911 e il 1953. Nel piano terra si trova la sala da pranzo (dove uomini e donne facevano colazione a base di “mate” e pane), la cucina e i servizi ausiliari. Nei piani superiori ci sono invece quattro dormitori per piano, allestiti con 208 letti ciascuno per un totale di 832 letti. L’importanza dell’albergo, oltre alle necessarie funzioni di accoglienza, stava nel ruolo svolto dall’ufficio di collocamento, che si occupava della ricerca, sistemazione e trasporto degli immigrati nell’area del Paese che avevano scelto per vivere e lavorare. In un data base sono contenuti nomi e cognomi di tutti gli emigranti giunti nel paese Sud Americano. Un numero: nel 1888 espatriarono 290.736 cittadini italiani, di cui 204mila diretti verso il continente americano. E noi di cosa stiamo parlando?