Il motore della conoscenza
“Puoi conoscere solo se pensi di non conoscere”. Chiunque abbia detto questa frase, credo intendesse affermare che solo l’ammissione dell’ignoranza può fare da propulsore al conoscere. Se ho la consapevolezza di non sapere, allora posso mettermi a studiare, a cercare, ad informarmi, ad approfondire. Se invece ritengo di avere già la conoscenza, la verità dentro di me, allora non mi darò la pena di fare la fatica di mettermi in ricerca. Perché conoscere esige impegno, sforzo, uscire dal mio terreno conosciuto, dalla mia zona comfort.
Anche gli stereotipi, i pregiudizi, le categorizzazioni, nascono all’insegna del risparmio di energia intellettuale. Invece di sprecare ogni volta energia per conoscere ex novo una realtà, la incasello automaticamente in base ad un giudizio sommario, estemporaneo, frutto di precedenti esperienze e saperi. Così, avrà certe caratteristiche predefinite un carcerato, un introverso, un anziano, un adolescente, un tossicodipendente, un marocchino, etc. Ed anche senza categorizzare, quante volte ci accostiamo ad una persona pensando di averla già capita; dalle prime parole, già ce ne facciamo un’idea e spesso ne cerchiamo solo conferme: ciò che non combacia, che è dissonante da ciò che pensiamo di conoscere, non cattura neanche la nostra attenzione, viene scartato a priori. Solo se pensiamo di non conoscere affatto quella persona, abbiamo la possibilità e le diamo la possibilità di conoscerla. Dovremmo accogliere ogni persona come se venisse da un altro pianeta, con la stessa curiosità ed attenzione con cui si guarda “qualcosa” che non si è mai visto prima, che non può essere categorizzato, unico al mondo. Perché di fatto, ogni persona è unica al mondo: non è mai esistita prima e mai esisterà poi.
Dovremmo essere tanto grandi da farci piccoli come un bambino per poterla guardare con stupore. Dovremmo evitare di anticiparle le frasi, di pensare che tanto abbiamo già capito. Quella persona dovrebbe essere una tabula rasa per noi, senza averle già appiccicato addosso saperi prima ancora che apra bocca. Come ha detto bene Christian Bobin: “Sforzarsi senza tregua di pensare a chi ti sta davanti, prestargli un’attenzione reale, costante, non dimenticarsi un secondo che colui o colei con cui tu parli viene da un altro luogo, che i suoi gusti, le sue idee e i suoi gesti sono stati plasmati da una lunga storia, popolata di molte cose e di altre persone”.