Il male di vivere
Solitudine e noia sono anche alla base delle sindromi depressive, dei disturbi di personalità, delle psicosi e psicopatie
I disturbi psichici, le pratiche di autolesionismo e i suicidi sono in aumento fra giovani e giovanissimi. Se ne occupa in maniera dettagliata l’ultimo report dell’Unicef (https://www.unicef.it/pubblicazioni/sowc-2021-rapporto-in-sintesi/) mettendo a confronto i dati dei diversi Stati europei.
In Europa, nella fascia di età tra i 10 e i 19 anni, sono censiti circa nove milioni di giovani che manifestano disagio mentale. Il suicidio resta la seconda causa di morte fra i teenager con una media di tre decessi al giorno. Circa 1.200 bambini e adolescenti fra i 10 e i 19 anni si suicidano ogni anno.
Anche in Italia i dati sono preoccupanti, soprattutto dopo il ritiro forzato e le misure sanitarie legate alla pandemia. Il disagio psichico pare interessi circa un milione di giovani.
Ai dati diffusi dall’Unicef si aggiunge l’allarme degli specialisti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove tra aprile 2020 e i primi mesi del 2021, si è verificata una impennata del numero delle ospedalizzazioni riguardanti fenomeni di ideazione suicidaria e autolesionismo nella fascia dell’infanzia e dell’adolescenza.
L’adolescenza ha fatto inevitabilmente da cassa di risonanza ai malesseri legati alla diffusione del Covid19. I medici spiegano che i pensieri e i desideri di morte caratterizzino quest’età a causa del dolore psicologico che i giovani spesso sperimentano in maniera esasperante. Il suicidio viene, quindi, considerato come una via di uscita dalla morsa di uno stato emotivo alterato e ingestibile. Tra l’altro gli adolescenti a rischio suicidio presentano una forte ambivalenza nella manifestazione dei propri sentimenti riguardo la vita e la morte, creando confusione e mancanza di comprensione da parte di chi sta loro accanto. I maggiori fattori di rischio sono a volte anche genetici, o un forte svantaggio culturale e sociale, problemi familiari, abusi, depressione e dipendenze di vario tipo. Altro grosso fattore di incidenza è il senso di solitudine che i giovani delle ultime generazioni provano sulla propria pelle per motivazioni riconducibili soprattutto a una repentina trasformazione del tessuto sociale, delle relazioni e alla consistente tecnologizzazione dei diversi ambiti dell’esistenza umana. Certo, gli specialisti avvertono che è importante distinguere tra solitudine, loneliness e isolamento sociale. Negli ultimi due casi il sentimento dell’esser solo si accompagna a una mancanza di prospettive, alla chiusura in sé stessi e all’incapacità di dare significato alle cose. Nell’isolamento sociale, invece, si giunge a una completa assenza di interazioni reali con gli altri e a un vero e proprio ritiro all’interno delle mura domestiche.
Il substrato comune di queste condizioni è la dilagante sensazione di noia che colpisce i nostri giovani. Un sentimento paradossale in un mondo che viaggia a velocità supersonica ed è sovraesposto a miliardi di stimoli differenti. Eppure, sempre più coriaceo e radicato, probabilmente perché nonostante gli stimoli, le immagini patinate, i passatempi reali e virtuali, resta un grande e incolmabile vuoto a minare il nostro equilibrio fatto di domande inevase e di negazione di tutto ciò che non rientra nel bouquet delle tanto sponsorizzate good vibes.
Solitudine e noia sono anche alla base delle sindromi depressive, dei disturbi di personalità, delle psicosi e psicopatie. Gli stati ansiosi dei ragazzi sono spesso campanelli d’allarme non sufficientemente considerati e rappresentano di frequente l’anticamera delle pratiche di autolesionismo più diffuse, come tagliarsi.
Non è un caso che si stia parlando sempre più capillarmente di educazione emotiva e si moltiplichino le pubblicazioni sull’argomento. La mancanza di consapevolezza emotiva determina queste pericolose avarie. Ma la domanda più inquietante è: quando e dove abbiamo smesso di educare i nostri figli al riconoscimento emotivo?