Il lavoro di oggi e di domani
La famiglia e il lavoro, dopo la salute, sono stati gli ambiti più colpiti dal Coronavirus e hanno dimostrato una capacità di resilienza sorprendente e messo in luce problemi ancora da risolvere. La famiglia è stata ammortizzatore sociale, welfare, servizio educativo, luogo di lavoro e altro ancora. Il lavoro si è adattato, ove possibile, alle nuove condizioni e quando si è interrotto, senza possibilità di prevedere la ripresa e di ricevere aiuti economici dallo Stato, ha cercato alternative. Dobbiamo partire da questi vissuti e adottare procedure semplici, decisioni rapide e condivise. Le misure attivate dal Governo hanno questi requisiti? Il loro funzionamento e la prevalente natura assistenziale ci fanno dubitare. Quanto potranno proseguire, quanto ci costeranno, che risultati produrranno? Non si mette in discussione il sostegno al reddito di chi si è trovato senza lavoro e a rischio di povertà, ma si chiedono risorse anche per politiche attive del lavoro. Pietro Ichino sostiene che sono scoperti 1 milione di posti di lavoro, qualificati e non, e che senza servizi informativi, orientamento professionale, formazione mirata e rapporti con le imprese saranno coperti solo in piccola parte. L’esperienza dell’utilizzo improvvisato e di massa delle nuove tecnologie e dello smart working, attuato non prevedendo la libertà di scelta del luogo di lavoro, ma in condizioni di isolamento sociale e di difficile conciliazione tra vita e lavoro, deve permetterci di recuperare il ritardo accumulato e di evitare i rischi di inefficienza già corsi. Dobbiamo farlo perché proseguirà e gli enti dovranno dotarsi di un piano organizzativo. Michele Tiraboschi ha espresso la questione di fondo: “Lo smart working è, prima di tutto, un atteggiamento culturale verso il lavoro secondo logiche di responsabilità e di misurazione dei risultati rispetto a obiettivi preventivamente concordati”. Un’impostazione che non si trova nella legge sul lavoro agile, “pensata e collocata dentro gli schemi giuridici e culturali della subordinazione del Novecento industriale. Tanto è vero che, per espressa previsione di legge, il lavoro agile può essere svolto solo dai dipendenti non dai professionisti e dai collaboratori”. Supportiamolo giuridicamente perché abbia le protezioni sociali, le misure di welfare adeguate e le regole di responsabilizzazione chiare. Le nuove generazioni sono già proiettate in questa dimensione. Normarlo con rigore può dare loro prospettive di occupazione.