Il lavoro dei sogni
Non tutti possono fare i blogger su TikTok o le sfilate
Non serve dare un lavoro ai giovani italiani: serve dare una motivazione, far riscoprire il valore che il lavoro ha nelle nostre esistenze. Perché le idee sono molto confuse. Si moltiplicano le situazioni in cui le aziende – dalla gelateria alla grande industria meccanica – faticano a trovare personale da assumere. Certo, il reddito di cittadinanza non ha giovato a stimolare molti ragazzi dal rinunciarvi per trovare un’occupazione. E questo ostacolo andrà prima o poi affrontato.
Ma la questione – a sentire imprenditori, artigiani, commercianti, responsabili del personale – è più profonda. Si può riassumere così: i giovani vogliono fare il lavoro “per cui sono portati”. Giustamente. Salvo il fatto che nessuno è sostanzialmente portato a molte lavorazioni che invece richiedono manodopera o cervelli. Scavando ancor più nel profondo, emerge una psicologia dell’approccio lavorativo sconcertante. Enorme difficoltà a “fare sacrifici” iniziali per imparare il mestiere, per fare qualcosa di più dello stretto orario lavorativo o del mansionario previsto; una certa tendenza a mollare alle prime difficoltà o alla rapida disillusione tra quanto immaginato e la realtà. Una psicologica credenza – anche giustificata – che quell’occupazione sia solo una parentesi, un tratto del percorso; ma che il cambiamento sia la logica del lavoro. Il tutto si scontra però con le esigenze del mondo delle imprese. L’investimento in formazione che non frutta, se poi il turnover è rapidissimo; la difficoltà a motivare gli esordienti (la cui prima richiesta, prima ancora di: che lavoro è?, è invece: quanto guadagno e quante ferie ho); la quasi impossibilità di reperire determinate figure lavorative certo non formate da scuole professionali considerate residuali, e fortemente snobbate dall’altra metà del cielo, quella femminile.
Di base, il lavoro non è più considerato, dalle nuove generazioni, il valore che addirittura fonda la nostra Repubblica (secondo Costituzione). Ma invece un limite alla libera espressione della propria personalità e un inciampo nella gestione del proprio tempo. Non tutti possono fare i blogger su TikTok filmando i panini che si mangiano o sfoggiando abiti alla moda. E che la situazione sia già ora critica lo dimostra la forte ripresa del turismo nostrano nel post pandemia: ottima cosa, ma non si trova personale dall’Adriatico al Tirreno, nelle città d’arte come in montagna; negli alberghi come nelle gelaterie e nei negozi stagionali. “Colpa” loro? E nostra, di noi genitori e familiari, no? Chi ha mai sognato per la propria figlia un futuro da camionista o da stagionale come cameriera ai piani?