di GUIDO COSTA
08 gen 2015 00:00
Il Jobs Act dei miracoli
Nel dibattito che ha accompagnato il percorso ad ostacoli del piano per il lavoro c’è infatti un insopportabile sovraccarico di ideologia
La realtà dei fatti dovrebbe consigliare qualche cautela in più a quanti continuano a gridare allo scandalo del Jobs act, la legge delega sul lavoro presentata dal Governo e approvata in via definitiva dal Parlamento il 3 dicembre 2014. Nel dibattito che ha accompagnato il percorso ad ostacoli del piano per il lavoro c’è infatti un insopportabile sovraccarico di ideologia, una lente deformante che sistematicamente banalizza il positivo per continuare a gridare contro il lupo che banchetta con i diritti dei lavoratori. Questi Sherlock Holmes alla rovescia si ritrovano tanto a destra (“è mancato il coraggio delle grandi scelte”) che a sinistra (“la nuova formulazione dell’articolo 18 è un abominio”).
Giudizi così sopra le righe che hanno consentito a Renzi di togliersi qualche sassolino dalle scarpe: ai primi ha chiesto polemicamente dov’erano negli anni che, con loro al Governo, è andato consolidandosi lo zoccolo duro della disoccupazione italiana; ai secondi ha ricordato che l’astratta narrazione dei diritti non solo non ha creato posti di lavoro ma nemmeno ne ha salvati. Ci vorrà poco per verificare se il Jobs act saprà scuotere l’asfittico mercato del lavoro italiano.
I primi due decreti attuativi della legge delega varati la vigilia di Natale dal Consiglio dei ministri sui quali le Commissioni parlamentari potranno trasmettere entro un mese al Governo un parere non vincolante , riguardano il contratto a tutele crescenti e l’assicurazione sociale per l’impiego, una indennità di disoccupazione che potrà arrivare non più fino a 18 ma a 24 mesi. Con gli sgravi fiscali sul costo del lavoro previsti per i primi tre anni dall’assunzione e la possibilità di gestire la chiusura dei rapporti di lavoro con risarcimenti economici – fatta eccezione per i licenziamenti discriminatori rispetto ai quali nulla cambia – non ci sono più alibi. Adesso tocca davvero alle imprese.
GUIDO COSTA
08 gen 2015 00:00