Il grembiule e la stola
“La stola e il grembiule” è la felice espressione con cui don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, ormai più di vent’anni orsono, intitolò un piccolo volumetto dedicato ai presbiteri. Ho pensato di invertire i due termini per mettere in evidenza una necessità odierna. Fino a qualche decennio fa nelle nostre comunità i giovani, e la gente in generale, ci onoravano con un anticipo di fiducia. Bastava essere preti per godere di questo beneficio gratuito e iniziare con coraggio il proprio ministero. Oggi le cose sono cambiate, i ragazzi sono più sospettosi e la gente non sempre guarda con ammirazione la scelta di un giovane prete. Ciò che può scardinare quello che è divenuto un vero e proprio “anticipo di sfiducia” può essere il semplice gesto dell’indossare il grembiule prima della stola. Mostrare insomma il proprio legame con la forma del servo, che Cristo ha vissuto appieno. Anzi, Gesù ha esercitato perfettamente il suo sacerdozio proprio nel momento del servizio estremo, “facendosi servo obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). L’amore per il servizio è un punto di partenza adeguato per ogni ministero, ancor più quello ordinato. Non sono tempi facili. Questo, a volte, può spaventare o scoraggiare, può farci indulgere nella pigrizia o cedere alla rassegnazione. Tuttavia, è proprio oggi che il Signore continua a chiamare alcuni giovani a seguirlo in una strada annunciata in salita, per una porta descritta come stretta e senza scorciatoie. Se da una parte sarà necessario iniziare il proprio ministero nell’umiltà del servizio, dall’altra sarà indispensabile guardare con gli occhi della fede questi giovani preti che hanno il desiderio di raccontare e portare l’annuncio del Regno in un mondo spesso confuso e incupito. Si potrà così scorgere, in tutto quello che avverrà sabato, un germe di speranza.
Nella misura in cui questi nuovi amici preti rimarranno fedeli alla loro vocazione sapranno portare letizia dove domina il malcontento, saranno fonte di comunione dove la discordia lacera, potranno dire una parola che sana dove il chiacchiericcio ammorba e doneranno consolazione dove l’abbandono dispera. Una grossa responsabilità poggia sulle loro spalle, ma il giogo lo si porta con il Signore. E allora sorge il desiderio di incoraggiarli in questo inizio di ministero; non siete soli, il Signore è la nostra forza e la Chiesa la nostra dimora. Se si rimane sinceri nel vivere il dono che si è ricevuto il Signore scaccerà le paure e donerà la gioia.
Le comunità che vi accoglieranno vi aiuteranno a diventare preti. Non lo si diventa senza una comunità. Lo potranno fare però se guarderanno oltre, se si impegneranno a cercare in voi ciò che rappresentate e portate. Mi tornano spesso alla mente le parole di san Francesco d’Assisi, lui che non si riteneva degno di diventare sacerdote: “Se mi arrivasse d’incontrare nello stesso momento un santo disceso dal cielo e un povero piccolo prete, comincerei a fare l’omaggio al prete, mi precipiterei a baciargli le mani. Direi: aspettate, san Lorenzo, perché queste mani toccano il Verbo di vita”. Se al lavoro generoso dei preti corrisponderà l’accoglienza grata delle comunità, il dono non tarderà a fiorire. Allora il grembiule e la stola saranno sufficienti per mostrare quanto il Signore opera ancora oggi per il bene di ogni uomo.