Il giusto tempo per il riposo
Per i cristiani la domenica è il giorno del Signore, ma è qualità della vita permettere a tutti (credenti e non credenti) di vivere un giusto equilibrio tra lavoro e riposo, e di farlo in armonia con il proprio contesto familiare
Riusciranno mai la politica e le leggi a migliorare la qualità della vita dei cittadini? L’arte della politica sa ancora governare i fenomeni e orientare la convivenza civile al bene comune? O è schiava di logiche che la superano come l’economia e l’interesse di parte? È di ogni partito, programma o contratto di governo, misurarsi con questa sfida. Sui cittadini poi cade l’onere e l’onore di valutare le scelte della politica nel suo impatto sulla vita reale. Un esempio? È di questi giorni l’annuncio del ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio sulla chiusura domenicale degli esercizi commerciali.
“Il governo non intende impedire l’apertura dei negozi le domeniche o nei giorni festivi, ma prevede di introdurre un meccanismo di turnazione che faccia sì che resti aperto solo un quarto degli esercizi – ha puntualizzato il ministro –. Non dico che sabato e domenica non si fa più la spesa, ci sarà un meccanismo di turnazione: resta aperto solo il 25%, il resto chiude – e ha precisato – è una cosa di civiltà”. È una proposta che potrebbe migliorare la qualità della vita dei cittadini? Per me sì. Fuori da ogni ideologia e schieramento, è bene ricordare come la comunità cristiana e molte associazioni cattoliche (penso all’impegno ad esempio di Mcl negli anni scorsi) si siano sempre battute per salvaguardare il riposo festivo. Certo, per i cristiani la domenica è il giorno del Signore, ma è qualità della vita permettere a tutti (credenti e non credenti) di vivere un giusto equilibrio tra lavoro e riposo, e di farlo in armonia con il proprio contesto familiare.
“Questa proposta – ha ribadito Di Maio – ci viene chiesta dai commercianti, dai padri e madri di famiglia che essendo proprietari di un negozio dicono: se mi mettete in concorrenza con un centro commerciale dal lunedì al venerdì i miei figli non li vedo più”. Non che Di Maio mi stia particolarmente simpatico, ma come non riconoscere che, in questo caso specifico, c’è un coraggioso impegno concreto per il bene dei cittadini?
La comprensibile dialettica politica sul tema non aggiunge grandi contenuti se non le schermaglie inevitabili e i necessari distinguo. Ciò che invece è evidenti che in questi anni di liberalizzazione selvaggia, anche a detta degli operatori economici, l’apertura degli esercizi commerciali non ha garantito chissà quali maggiori introiti. Se poi aggiungiamo a questo il fenomeno del proliferare dei centri commerciali notiamo un altro dato inquietante: ad ogni centro commerciale che apre un altro va in crisi. Basta vedere quel che è capitato a Brescia, ma anche in tante parti della provincia. Anzitutto lo svuotamento dei centri storici con la serie di serrande abbassate dei negozi a conduzione familiare.
Solo in città una politica di impegno di eventi e di promozione culturale consistente e spalmata su tutto l’anno permette in qualche modo un flusso costante di persone in centro. Ma in altri paesi cosa è accaduto? I centri commerciali poi si cannibalizzano a vicenda. Per essere chiari: la gente che gira (e forse che compra) è più o meno sempre la stessa. Se apre la Freccia Rossa, vanno in crisi le Rondinelle, se apre Elnòs va in crisi la Freccia Rossa. E mentre Elnòs mostra già qualche fatica (il 1° luglio ha chiusi l’Ipercoop), si profila all’orizzonte una qualche nuova apertura. Insomma è una guerra continua! Le vittime siamo noi. Sono i lavoratori, ma anche i presunti consumatori e in senso più ampio la comunità tutta. Bene allora la chiusura domenicale e festiva, chissà che non ci aiuti a ritrovare, almeno un poco, la via dell’essenziale.