Il destino del gioco dei troni nostrano
L’egemonia gramsciana, la religione della libertà di Croce o la difesa delle basi morali della democrazia di De Gasperi sono state espressioni di una comune dottrina politica dell’unità secondo valori, autenticamente comunitari. Valori che la Costituzione ha cristallizzato. Questo resta il nostro impegno e il nostro destino.
Faccio parte degli scontenti. Non mi è piaciuto il finale della serie tv “Il trono di spade”. Non mi è piaciuto il clima della campagna elettorale, non mi è piaciuta la chiave italocentrica con cui si è raccontata l’Europa e si stanno valutando le ricadute del voto. Non mi è piaciuto il modo con cui la Chiesa e i temi legati alla religione sono entrati a far parte del dibattito in queste settimane, non mi sono piaciute le provocazioni sia romane che milanesi né le strumentalizzazioni che sono seguite. Sono un po’ deluso da questo “gioco dei troni” tutto nostrano. Continua a non piacermi che per parlare di politica, ma anche di Chiesa, le posizioni pacate, di buon senso, di sostanza più che di forma vengano sempre più marginalizzate, quasi messe in ridicolo. Non mi piace che non riusciamo ad andare oltre gli slogan e le trovate per giudicare un’idea, una persona, un progetto e una storia. Non mi va come cittadino, cristiano e prete, di sentimi per forza obbligato a schierami tra la necessità di esprimere posizioni o troppo gelide o troppo incendiarie. Preferirei attivare processi, maturare scelte, affrontare sfide e incontrare persone guardando la realtà senza occhiali distorcenti, stando accanto alla gente e camminando dentro la comunità con il gusto della memoria, la concretezza del presente e la lungimiranza del futuro. Vale per la politica, ma anche per alcune dinamiche ecclesiali.
Possibile che dobbiamo per forza essere tradizionalisti o progressisti? Pro o contro il Papa, il Vescovo o il parroco di turno? Non basterebbe cercare di essere buoni cristiani e onesti cittadini? Forse bisognerebbe tornare a rileggere quanto scriveva un fine intellettuale e poeta morto ancor giovane parecchi anni fa, Rodolfo Quadrelli, cattolico legato alla “tradizione”, il quale diceva che sia i tradizionalisti retrogradi sia i progressisti zelanti negano la vitalità della Chiesa: i primi perché la ritengono esaurita e dunque morta dopo i primi secoli, i secondi perché la vedono iniziare col modernismo, negandola in blocco per quel che riguarda i secoli precedenti. Già perché in fondo in gioco c’è la vitalità delle nostre comunità cristiane, ma anche della società italiana. In un Paese che non è più per giovani rischiamo una Chiesa che incontra solo vecchi. A che serve continuare a tirare la corda? A chi giova? Che ne è anzitutto del patto non scritto, ma vissuto per decenni, tra la Chiesa e lo Stato per il bene del Paese? Che ne è della fatica e dell’ascesi di stare nel merito delle questioni, di misurarsi con la fattibilità dei progetti, dell’onere di non giudicare in maniera previa né le persone, né le loro idee? E per la Chiesa in particolare che ne è del valore della comunione, dell’ascolto della Parola e dello Spirito, ma anche di un’azione ecclesiale che s’incarna nella vita e nella storia concreta delle persone che incontra? Non è più di moda? Se siamo diventati così come Paese forse anche come Chiesa abbiamo le nostre responsabilità: non siamo stati capaci di educare a scegliere e forse non abbiamo sostenuto abbastanza coloro che, malgrado tutto, si esponevano per il bene comune, lasciando troppo soli donne e uomini coraggiosi. Adesso siamo di fronte una sfida neopagana che non ragiona più in termini teologici, ma post ideologici, come se la storia non contasse. Oggi la comunità cristiana deve resistere alla spoliazione del patrimonio di umanità e di solidarietà della Chiesa, per restituire alla storia civile italiana quella matrice religiosa, non clericale, che è stata la radice anche di altre grandi culture politiche laiche. L’egemonia gramsciana, la religione della libertà di Croce o la difesa delle basi morali della democrazia di De Gasperi sono state espressioni di una comune dottrina politica dell’unità secondo valori, autenticamente comunitari. Valori che la Costituzione ha cristallizzato. Questo resta il nostro impegno e il nostro destino.